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Omelia per Prima Messa Card. Pierbattista Pizzaballa

Omelia per Prima Messa Card. Pierbattista Pizzaballa

Prima Messa Card. Pierbattista Pizzaballa  

Basilica Papale di Santa Maria Maggiore in Roma  

Domenica 1 ottobre 2023 - XXVI Domenica per Annum  

Carissimi Tutti,  

l’Eucaristia che stiamo celebrando ha per tutti noi un “colore” particolare, nuovo.   

Non mi riferisco solo al rosso della porpora romana con la quale il Santo Padre ha voluto onorare me e la Chiesa di Gerusalemme, che ho la grazia di presiedere e che qui oggi è radunata in questo particolare momento. E nemmeno penso soltanto al fatto che è celebrata in questa veneranda Basilica papale. Mi riferisco soprattutto alla “nuova” chiamata che questa porpora significa per me e per quanti in qualche modo a me sono uniti da vincoli umani, cristiani ed ecclesiali.  

A tutti noi, infatti, il Signore non cessa di ripetere quanto abbiamo appena ascoltato nel vangelo di oggi: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna” (Mt 21,29). Per tutti noi risuona l’invito alla risposta sincera e fedele a Lui che chiama, senza tentennamenti. E dalla risposta di tutti dipende il compiersi del Regno in mezzo a noi e per l’eternità.  

Cosa aggiunge allora questa nomina a Cardinale? Perché ne siamo tutti contenti? E’ solo una eco antica di una corte che non c’è più? E’ solo una tradizione venerabile certo ma ormai un po’ folkloristica, incomprensibile per tanti? E’ solo un onore, per quanto legittimo, concesso dal Papa di cui andare fieri”? Se fosse solo questo, non avrebbe senso “celebrarla” in una liturgia, inserirla cioè nella trama misteriosa ma reale dei rapporti del Signore con noi e nostri con Lui, viverla come un radicamento profondo nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.  

Sono convinto, infatti, che ogni nuovo ministero, ogni servizio, ogni “titolo” che la Chiesa chiama a ricoprire non è tanto un nuovo gradino per salire più in alto, ma un invito ad andare più a fondo, anzi “fino in fondo” (usque ad sanguinis effusionem, dice l’antica formula). E il cardinalato, per chi lo riceve e per chi è in vario modo a lui collegato, nella misura in cui unisce (incardina) più strettamente alla Chiesa di Roma e al suo Vescovo, invita tutti noi ad fare ancora più nostro lo sguardo proprio della Chiesa, una nuova partecipazione, ciascuno secondo il dono ricevuto, alla “episkopè”, allo “sguardo dall’alto” che il Vescovo di Roma ha sulla Chiesa universale, che è “lo sguardo di Pietro”.  

Vorrei perciò rileggere con voi ciò che abbiamo vissuto ieri e la Parola che abbiamo ascoltato con lo sguardo di Pietro.  

Lo sguardo di Pietro è innanzitutto uno sguardo esperto della propria debolezza e, perciò, della misericordia di Dio, della divina capacità, cioè, di far emergere il Suo sì dentro i nostri no, di attenderci con pazienza dentro il nostro tentennare nella fedeltà, di accompagnarci dentro i nostri ricorrenti andirivieni nell’amore fedele e responsabile. L’entusiasmo irruente di Pietro e le sue paure, il suo rinnegamento e le sue lacrime, il suo amore sincero ma timoroso, dicono di uno sguardo che ha saputo scoprire l’amore dentro il fallimento, la vittoria nell’apparente sconfitta, la fiducia dentro le contraddizioni e il rinnegamento. Essere cardinale, è dunque, lo interpreto come un invito a metterci da questo punto di vista, di chi sa guardare alla debolezza dei fratelli con amore intelligente e sincero, di chi contempla la complessità della storia con fiducia e speranza. Siamo tutti dentro una cultura che esalta il successo e il rendimento, che semplifica e banalizza tutto rinchiudendo l’esperienza umana dentro facili slogan e giudizi improvvisati. Si cerca la parola a effetto, e la ricerca della verità cede spesso il posto alla opinione della massa o di chi conta di più. Lo sguardo di Pietro, che il Papa attualizza continuamente tra noi, è uno sguardo che non si arrende. Pietro, dicevamo, è il personaggio irruento che si lancia, che irrompe facilmente sulla scena, è colui che confessa Gesù come il Messia di Dio; ma anche colui che vuole fermare il Suo cammino verso Gerusalemme, è anche l’uomo titubante e pauroso, che non ha il coraggio di confessarlo nel momento doloroso della passione, tradendolo. Pietro, tuttavia, non si spaventa davanti al proprio fallimento, non si ferma e non lascia che il suo peccato gli chiuda il cuore, ma sa stupirsi, sa cercare, sa ripartire e anzi correre, anche davanti all’annuncio incredibile del sepolcro vuoto.  

Del resto, come tutti noi sappiamo bene, per chi vive a Gerusalemme questa è esperienza quotidiana. In quella santa e faticosa città, dove Pietro ha iniziato il suo ministero di portavoce della fede, ogni giorno siamo tentati di arrenderci alla debolezza, di stancarci dei mille tentennamenti della politica nazionale e internazionale, di lasciare l’ultima parola ai rinnegamenti e alle delusioni, di inseguire la soluzione facile o di pronunciare giudizi affrettati; eppure ogni giorno non mancano piccoli segni di speranza, nuove scommesse di dialogo e di riconciliazione che rilanciano l’entusiasmo, incoraggiano la fiducia, rinnovano la speranza e ci fanno dire con Pietro: “Non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò ancora le reti!” (cfr. Lc 5,5).  

Lo sguardo di Pietro, però, è capace di questo perché il suo è uno sguardo educato dallo sguardo di Gesù. Mi colpisce sempre leggere nei Vangeli: “E Gesù fissò lo sguardo su Pietro” (Lc 22,61). Non sono certamente un romantico – chi mi conosce lo sa bene! - ma anche per me è difficile sfuggire al desiderio di immaginare la bellezza dello sguardo di Cristo che tante storie affascinanti di vita e di santità ha avviato nella Chiesa di ieri e di oggi. Cosa avrà visto Pietro quando il suo sguardo incrociava lo sguardo di Gesù?  

Avrà senz’altro visto lo sguardo di un Maestro, di uno che con autorità parlava di Dio e degli uomini, della vita e della morte. Guardando a Cristo o, meglio, lasciandosi guardare da Lui, Pietro avrà progressivamente imparato che il Figlio di Dio, venuto nella carne, percorre le vie del dono di sé fino alla Croce. Avrà compreso che donarsi fino a perdersi è il nome vero dell’amore, anzi è la natura stessa di Dio. Avrà imparato a essere e a vivere da discepolo, che va dietro a Gesù fino ad avere i suoi stessi sentimenti (cfr fil 2,5), fino a non scandalizzarsi di un Dio inginocchiato a lavargli i piedi ma a lasciarsi lavare da Lui completamente. E, lavato da Cristo non meno che dalle lacrime del pentimento, testimone delle sofferenze di Cristo morto per amore, è divenuto capace di guardare al gregge di Dio affidatogli non come a un possesso su cui spadroneggiare “per vile interesse” ma come a fratelli da amare di cuore, “di buon animo”, secondo Dio (cfr 1Pt 5,2). E così il buon Pietro, insieme a Cristo, ha guardato anche alla sua morte che non voleva, come all’ultimo atto di amore per i fratelli nel quale Dio è glorificato.  

Amici miei carissimi, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, noi siamo sotto lo sguardo di Cristo e lo assumiamo perché diventi il nostro. Celebrarla da Cardinale oggi significa accettare di farci discepoli per guardare ogni cosa, con Pietro, a partire da Cristo. Insieme a Pietro, siamo chiamati a guardare sempre di nuovo a Cristo, ad avere occhi per Lui. In particolare, pur dentro le inevitabili difficoltà che, oggi più di ieri, caratterizzano il cammino cristiano, ci sentiamo chiamati a scegliere Cristo e il suo Vangelo come Via, Verità e Vita del nostro pensare e del nostro agire. In tempi di grande disorientamento e confusione, la Chiesa è chiamata a ripartire da Cristo, Maestro e Signore. Il suo Vangelo non è semplicemente un codice etico o, peggio, solo un serbatoio cui attingere un galateo religioso e civile. Il Vangelo di Cristo, il Vangelo che è Cristo, è Parola che promette vita ma chiede di essere accolto da una fede che si fa scelta di conversione e di cambiamento anche sociale.   

Nel tempo della dittatura del sentimento, dove autenticità rischia sempre più di far rima con soggettività e verità con ciò che emoziona, la fede non può ridursi a sensazione intimistica, ma deve tornare a essere scelta convinta che orienta e cambia la vita e quindi anche convincente. Con Pietro siamo chiamati a uscire dalle ristrettezze del nostro Io o delle opinioni comuni e aprirci al Tu più grande di noi, il Tu di Cristo che ci apre al Noi della Chiesa. E solo il pronunciare quel Tu, in mezzo al noi della Chiesa, ci restituirà la nostra vera identità: tu sei Pietro! (Mt 16, 18). E non sarà una identità rigida, chiusa, escludente, da opporre alle identità altrui, ma sarà una identità ricevuta in dono, purificata dall’amore a forma di Croce, disposta a trasformarsi in servizio perché tutti si ritrovino fratelli.  

E anche qui – perdonatemi – non posso non pensare a Gerusalemme e alla Terra Santa, alla mia Diocesi cui in questo momento vanno il mio affetto e il mio ringraziamento per le tante testimonianze di stima e di vicinanza ricevute in questi mesi. Quella terra, splendida e drammatica, è un crocevia di culture, sensibilità, religioni, persone e in quel contesto, noi cristiani siamo davvero pochi e, secondo calcoli solamente umani, irrilevanti. La tentazione di guardare a tanta diversità con lo sguardo di Pietro prima che incrociasse lo sguardo di Cristo, cioè con uno sguardo impaurito e forse, proprio per questo, aggressivo e violento, è forte. La politica, le istituzioni culturali e sociali e, talvolta, perfino le Chiese possono scegliere la via della rivendicazione, del conflitto, dell’interesse di parte, anche della violenza. Occupare spazi togliendoli agli altri, percepiti come rivali e nemici, sembrerebbe essere l’unica via per sopravvivere.   

Ma noi cristiani siamo diversi, dobbiamo essere diversi, perché siamo chiamati a scegliere ogni giorno di essere discepoli di Cristo, e da oggi ancora di più, fino in fondo, fino alla fine, usque ad sanguinis effusionem. Dobbiamo camminare dietro il Maestro disposti ad andare anche là dove la nostra sensibilità, talvolta giustamente offesa, non vorrebbe andare. La differenza cristiana non consiste nelle nostre forze, nelle nostre proprietà, nel nostro eventuale prestigio. La differenza cristiana sta nelle nostre scelte di riconciliazione, di dialogo, di servizio, di vicinanza, di pace. Per noi l’altro non è un rivale, è un fratello. Per noi l’identità cristiana non è un baluardo da difendere, ma una casa ospitale e una porta aperta sul mistero di Dio e dell’uomo dove tutti sono benvenuti. Noi, con Cristo, siamo per tutti.   

Ecco, fratelli e sorelle, come vorrei vivere e “fare” il Cardinale. Ecco come vorrei che il Patriarcato latino, diventato sorprendentemente sede cardinalizia, vivesse la sua vocazione e la sua missione. Ecco come vorrei che tutti voi sceglieste ogni giorno di essere cristiani, discepoli di Cristo, sostenuti dalla mia preghiera così come io so di essere sostenuto dalla vostra.  

La Vergine Maria, che in questa Basilica veneriamo come Madre di Dio, interceda per noi, per la Chiesa di Gerusalemme e ci sostenga in questo nostro nuovo cammino.  

†Pierbattista Pizzaballa 

 Latin Patriarch of Jerusalem