At 12, 1-11; 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16, 13-19
Carissimi fratelli in Cristo e in San Francesco,
Caro padre Custode,
il Signore vi dia pace!
Come è ormai tradizione, anche quest’anno la Chiesa di Gerusalemme festeggia insieme ai fratelli della Custodia di Terra Santa la solennità dei Santi Pietro e Paolo e in modo particolare gioisce per nuovi sacerdoti che entrano al servizio della Chiesa nella famiglia francescana.
Vorrei cogliere, dalla Parola che abbiamo ascoltato, alcuni elementi che possano illuminare da una parte le figure di Pietro e di Paolo, ma dall’altra anche il senso di ciò che stiamo vivendo noi, oggi, qui. Sono le stesse letture che ascoltiamo ogni anno, che però restano sempre un tesoro dal quale “estrarre cose nuove e cose antiche” (Matt. 13,52).
Vorrei fermarmi un momento su S. Paolo e sulla seconda lettura, che di solito tendiamo a trascurare.
- Paolo parla della sua vita di apostolo come di una battaglia. L’immagine della fede come battaglia ritorna spesso nelle lettere di S. Paolo (1 Cor. 14,8; 2 Cor. 10,3; Ef. 6,12; 1Tim. 1,18; 6,12; 2Tim. 4,7). Molto nota è la famosa: “Combatti la buona battaglia della fede”, in 1Tim 6,12. A noi oggi, nella nostra cultura che ha il desiderio della pace nel cuore, questa sembra un’immagine inappropriata, anche se devo dire che qui in Terra Santa, questa immagine calza molto bene con i nostri contesti sempre così violenti. Di solito, comunque, siamo più abituati a legare la fede alle immagini di “cammino, di incontro, di esperienza, di relazione, di scelta, ecc.”. La fede come battaglia ci è invece più estranea. In più Paolo aggiunge che quella battaglia è addirittura “buona”.
Altrove l’apostolo spiega con chiarezza che non si tratta di una battaglia carnale, cioè di andare contro qualcuno, o di imporsi sugli altri combattendo, ma di una battaglia “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male…” (Ef. 6,12). In un altro passo aggiunge: “non combattiamo secondo criteri umani” (2Cor. 10,3). In breve, San Paolo dice che la fede, che è certamente relazione e incontro personale con Cristo, una scelta che ci ha cambiato la vita, deve però anche fare i conti con il rifiuto, con l’opposizione, l’incomprensione. Deve confrontarsi con le infedeltà, il peccato, le ombre della morte che sono dentro e fuori di noi, e che ci richiedono di essere sempre pronti e vigilanti come sentinelle, di essere sempre all’erta per non lasciare passare il nemico, senza mai arrendersi, senza mai adagiarsi. Con questa immagine, l’apostolo ci ricorda, insomma, che non bisogna farsi illusioni, la vita cristiana è e resta una proposta, sempre cordiale e serena, ma che allo stesso tempo richiede anche fermezza e chiarezza, con se stessi, innanzitutto, nella propria vita interiore, e poi anche nella testimonianza agli altri. I primi martiri cristiani, come pure le testimonianze di martirio contemporanee, ci dicono che oggi la fede è ancora una “buona battaglia”, una lotta (cfr. Lc 22,44), dove ciascuno è chiamato a difendere e custodire la propria relazione con Dio, con fedeltà e costanza, con amore, ma anche senza cedimenti, con chiarezza.
A voi, cari fratelli, non è chiesto di dare quella testimonianza di martirio, ma anche per voi questa immagine di Paolo mi pare sia appropriata.
Nella vostra vita di fede, innanzitutto, e poi nella vita sacerdotale, sarete chiamati ad essere fratelli, compagni di viaggio, amici, padri, maestri. Ma dovrete anche essere soldati, che difendono la fede e la custodiscono con cura: nella propria vita personale con la preghiera e lo studio, nella vita della Chiesa con la predicazione e l’insegnamento, e infine nella relazione con il mondo, che tenterà sempre di annacquarne la purezza.
Sarete chiamati a farvi prossimi nelle varie vicissitudini delle comunità che vi saranno affidate, a gioire con chi gioisce, a consolare chi piange, confermare i dubbiosi, incoraggiare gli sfiduciati, sostenere i deboli… insomma sarete chiamati a svolgere quella che è la normale vita di un sacerdote, di chi dona la propria vita alla Chiesa. Ma dovrete anche essere pronti, come soldati in battaglia, a difendervi dalle tentazioni del tempo presente, che in forme e modi diversi, oggi come allora, vuole rendere innocua la fede cristiana, che invece è sempre uno slancio, una provocazione, un desiderio incolmabile, un amore che arde continuamente nel cuore, e che non ci vuole mai tepidi, insipidi, irrilevanti.
Non è qualcosa al di là delle vostre forze. San Paolo nello stesso brano aggiunge: “Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero” (2 Tim. 4,17). Il Signore vi sarà vicino e vi sosterrà, a Lui ci si può affidare, nella vita e nella morte, e lo farà attraverso la vostra comunità francescana, alla quale appartenete, lo farà attraverso la Chiesa, attraverso i tanti fratelli e sorelle che incontrerete nel vostro ministero sacerdotale.
Il Vangelo di Cesarea proclamato ci fa fare un passo ulteriore nella nostra riflessione.
Gesù pone la domanda fondamentale, che è all’origine della nostra fede e della vostra vocazione: “Chi sono io per voi?” (Mt 16,13.15): è la domanda centrale, attorno alla quale ruota ogni passaggio vero della vita cristiana.
Non è una domanda nuova: tutto il Vangelo nasce esattamente per rispondere a questa domanda, che ritroviamo qua e là. Se lo chiede chi l’ha visto placare il mare in tempesta (Mt 8,27), se lo chiede Giovanni il Battista dal carcere (Mt 11,3), e la domanda ritornerà nel Vangelo di Matteo (21,10), quando Gesù entra in Gerusalemme e tutta la città è scossa e si chiede: “Ma chi è costui?”.
A Cesarea, però, la domanda viene posta direttamente da Gesù dentro una provocazione diretta ai suoi discepoli. È questa la differenza tra questo testo e gli altri. E lo stesso accade oggi a voi. Non potrete annunciare, custodire e difendere la fede, se non vi porrete, giorno dopo giorno, questa stessa domanda: “Chi è Gesù per me?”, se cioè non custodirete gelosamente la vostra relazione personale con Gesù. Tutta la vostra vita di sacerdoti si giocherà su questa domanda e sulla risposta che darete di volta in volta. Non sarà mai la stessa, perché, se sarà una risposta vera e vitale, dovrà impastarsi di vita vissuta, fare i conti con i vostri piccoli e grandi fallimenti, le solitudini, le incomprensioni, ma anche le gioie e le tante consolazioni che vi accompagneranno lungo la vita. In fondo è quello che l’apostolo Paolo fa trasparire nella seconda lettura. Pur essendo abbandonato da tutti e vicino alla morte, in carcere, sente tuttavia che il Signore è stato la sua forza, che per lui – umanamente fallito e solo - il Signore è stato fedele. Anche voi, dunque, ogni volta, ogni giorno, in qualsiasi circostanza vi troverete, chiedetevi: “Chi è Gesù per me?”, mantenete viva quella relazione che da senso al vostro ministero sacerdotale. La gente non attenderà da voi di sentire un discorso su Gesù, ma di capire dalla vostra vita il vostro desiderio di Lui, di stare dentro quella domanda fondamentale.
E se davvero saprete custodire nel vostro cuore l’amore di Cristo che vi ha conquistato (cfr 2Cor 5,14), se quella domanda darà davvero gusto alla vostra vita sacerdotale, allora diventerete inevitabilmente anche difensori della fede e combattenti intrepidi della “buona battaglia”. Perché una fede vissuta, immancabilmente, diventa poi anche una testimonianza convinta. Le due cose vanno sempre insieme.
Coraggio, allora. La Chiesa ha bisogno di buoni combattenti per la fede, soldati che sappiano combattere contro il pensiero del mondo con le armi della luce (Rm 13,12) e della giustizia (2Cor 6,7), e che con amore risoluto e determinato si prendano cura dei fratelli e delle sorelle delle comunità a lei affidate.
Sono certo che oggi la Chiesa avrà quattro nuovi “pacifici combattenti” della fede, custodi e difensori di quell’Amore che ha redento il mondo, che vi ha conquistato, e che dona la pace vera a quanti Lo seguono.
Salvatore, Gerusalemme, 29 giugno 2023
†Pierbattista Pizzaballa
Latin Patriarch of Jerusalem