Carissimi,
quattro anni fa, a conclusione del mio mandato di Custode di Terra Santa, il Santo Padre volle nominarmi Amministratore Apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini.
Allora volli interpretare quella designazione, che ancora non cessa di stupirmi e di turbarmi, alla luce del verbo “ritornare”: come i discepoli di Emmaus, pronti a lasciare Gerusalemme dopo i fatti di Pasqua, anch’io mi sono sentito invitato a tornare a Gerusalemme, per riprendere il cammino, ritrovare la comunità, intensificare l’impegno. E, in effetti, sono stati questi in mezzo a Voi, anni di ripresa, di raccolta, di impegno intenso, non sempre agevole, talvolta faticoso. Abbiamo insieme provato a risolvere alcuni problemi della Diocesi, affinché la sua testimonianza e la sua missione potessero essere rese più agili e trasparenti.
E quando pensavo che il mio mandato a Gerusalemme fosse concluso, mi è arrivato un nuovo invito di Papa Francesco che mi vuole Patriarca. E così mi si chiede stavolta di “restare”.
Non posso sottrarmi alla suggestione e al “peso” di questo verbo. È il verbo della pazienza matura, dell’attesa vigile, della fedeltà quotidiana e seria, non sentimentale e passeggera. È innanzitutto l’invito del Signore ai suoi apostoli prima dell’Ascensione: a loro, ancora disorientati e perplessi, tentati di andarsene per la loro strada, o di risolvere tutto e subito, di forzare quasi i tempi di Dio, Gesù dice loro: “restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24, 49). Ed essi restarono, imparando che il compimento del Regno non era nelle loro mani, che esso viene dall’Alto, invocato e atteso nella pazienza della fede e della speranza.
E dunque resto anch’io, per camminare tra Voi e con Voi, nella fede e nella speranza, attendendo la Forza che viene dall’alto. Vorrò camminare innanzitutto con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi e i seminaristi: con loro resto al servizio di tutti, per testimoniare e imparare il primato di Dio e dei Suoi tempi, la pazienza della semina, l’attesa colma di speranza e certa dei frutti dello Spirito.
“Restare”, “rimanere”, però, come nel Vangelo di Giovanni, è anche il verbo dell’amore, quello vero, quello che si impara nel Cenacolo e al Getsemani. È per me il significato più difficile. In un tempo caratterizzato sempre più dall’evasione e dalla fuga, dalla velocità e dalla ricerca di emozioni sempre più forti, sembra quasi un invito superato, vecchio, impossibile.
Ci affliggono, infatti, problemi antichi e nuovi: la politica dal corto respiro e incapace di visione e di coraggio, una vita sociale sempre più frammentata e divisa, un’economia che sta impoverendoci sempre di più, e da ultimo questa pandemia, con l’imposizione di ritmi lenti e contrari alla vita cui eravamo abituati. Ma penso anche alle nostre scuole in sempre maggiori difficoltà, alle nostre comunità ecclesiali a volte così fragili e insomma ai tanti problemi dentro e fuori di noi, che già conosciamo. Tutto ciò ci sta però insegnando dolorosamente ma, spero, efficacemente, che altri devono essere i passi e i ritmi dell’uomo, se vuole salvare se stesso e il mondo.
Non dobbiamo scoraggiarci. Ho sperimentato in questi quattro anni che, insieme ai tanti problemi, abbiamo anche le risorse, il desiderio e la forza di guardare avanti con fiducia, capaci di vivere l’ambiguità di questo tempo con speranza cristiana.
E anche per questo sento rivolto anche a me e alla nostra Chiesa l’invito a “rimanere” non tanto in un luogo, ma innanzitutto in una disposizione dell’animo, in una disponibilità vitale: restare fedeli al dono di Cristo e di noi stessi per la salvezza del mondo.
So che ci attendono momenti difficili e scelte complesse, ma sono certo che uniti riusciremo a guardare al domani con fiducia, come è stato fino ad ora.
Assicuro perciò a tutti la mia volontà di servire ciascuno, la nostra gente e la nostra Chiesa, di amarla per quanto possibile con quello stesso amore del Cenacolo e del Getsemani, mettendo a Vostra disposizione quello che sono e che ho. E chiedo a Voi di rimanere con me nella stessa disponibilità, nella stessa decisione.
Il pallio, che contraddistinguerà, nei momenti più solenni, il mio nuovo ministero in mezzo a Voi, ci ricordi che abbiamo scelto nel Battesimo di prendere su di noi il giogo di Cristo, il peso e la gloria della Croce, che è amore donato fino alla morte e oltre ...
Lo Spirito ci invita a guardare al futuro di Dio che arriverà “tra non molti giorni”, che è anzi tra noi. Lasciamoci allora guidare dallo Spirito in questo nuovo inizio per la nostra amata Chiesa di Gerusalemme. E la nostra Patrona, la Regina della Palestina, interceda per tutti noi.
Di cuore Vi abbraccio e Vi benedico nel nome del Signore.
+ Pierbattista Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini
Gerusalemme 24 Ottobre 2020