Eccellenza,
Cari fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!
Prima di rivolgermi direttamente ai nostri fratelli candidati al diaconato, lasciatemi innanzitutto dire una parola sul Vangelo che è appena stato proclamato.
In quest’ultima domenica del tempo pasquale leggiamo un brano del capitolo diciassettesimo del Vangelo di Giovanni, in cui, dopo aver parlato a lungo con i suoi discepoli e dopo aver aperto loro il cuore, Gesù si rivolge direttamente al Padre: è la lunga preghiera di Gesù, la preghiera detta “sacerdotale”.
Gesù affida al Padre ciò che ha di più caro: innanzitutto questa sua missione tra gli uomini, che ora sta per attraversare il dramma della morte e del fallimento, della Pasqua, perché tutto si compia e Gesù possa così donare a tutti la vita eterna.
Poi, al Padre, Gesù affida i suoi discepoli, i suoi amici, coloro che lo hanno ascoltato e accolto.
E prega non per loro soltanto, ma anche per tutti gli altri che, in futuro, crederanno in Lui e accoglieranno da Lui il dono della vita nuova.
Il Padre gli ha affidato tutti costoro – “erano tuoi e li hai dati a me” (Gv 17, 6) - perché Lui li colmasse di vita, conducendoli alla conoscenza piena del Volto di Dio. Ed ora che Gesù sta per portare a compimento questa missione, può restituire tutto al Padre dal quale tutto viene: tocca al Padre, ora, custodire quest’opera.
La preghiera di Gesù inizia con una richiesta che a noi può sembrare strana: “Padre, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te” (Gv 17, 1). È una richiesta che ritornerà più volte all’interno del brano.
Bisogna capire bene cosa sta chiedendo Gesù, di quale gloria chiede essere glorificato: perché non si tratta di una gloria così come la intendiamo noi.
Nei vangeli di Matteo (20, 20-28) e di Marco (10,35-45) troviamo un episodio della vita di Gesù e dei discepoli che può aiutarci a capire.
Giovanni e Giacomo chiedono a Gesù di sedere l’uno alla destra e l’altro alla sinistra nel suo regno: la loro richiesta riflette un’idea di gloria molto umana, molto mondana. La gloria, in quel caso, corrisponde al potere, alla fama, al successo, alla grandezza. E Gesù coglie già in quel momento l’occasione per dire che questa non è la vera gloria.
E più volte dirà ai discepoli, che ogni tanto si perderanno a chiedersi chi di loro è il più grande (cfr Lc 22,24), che la gloria vera è quella di chi serve, di chi prende l’ultimo posto, di chi dà la vita senza tenere nulla per sé.
La gloria, infatti, non è altro se non ciò che manifesta Dio agli uomini, e il Dio di Gesù ha scelto di manifestarsi dentro ogni umile gesto d’amore, perché Lui stesso è amore e umiltà. Non si manifesterà dunque nella ricchezza, nella potenza, nel dominio, ma in ogni momento di gratuità.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù è molto duro con chi si rifiuta di credergli, con chi non vuole “andare a lui per avere la vita” (Gv 5,40): “Io non ricevo gloria dagli uomini. …E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (5,41-44). Anche i farisei e gli scribi, come Giacomo e Giovanni, cercano la gloria, e anche loro cercano una gloria terrena, “gli uni dagli altri”. Ma è proprio questa ricerca errata che impedisce di credere in Lui, che impedisce di accogliere la vera gloria di Dio, che si manifesta nelle opere del Cristo, in quel paradosso secondo il quale la vera gloria consiste nel perdere tutto.
Allora la gloria umana divide e allontana da Dio, ma ci divide e ci allontana anche tra di noi: nell’episodio di Giacomo e Giovanni, l’esito della loro richiesta è la discordia con gli altri discepoli, scandalizzati.
Invece la gloria che Gesù chiede al Padre nel brano che abbiamo ascoltato oggi ha come esito ultimo l’unità dei discepoli, perché la gloria di Cristo giunge a compimento esattamente nel rendere i suoi una cosa sola, proprio come Gesù e il Padre sono una cosa sola (Gv 17,11-21).
Ora ci è più facile capire cosa significa questa richiesta che sta all’inizio della lunga preghiera di Gesù: in questo momento decisivo, Gesù chiede solo di poter rivelare completamente il Padre.
Lo farà sulla croce, che è la più grande teofania, il luogo paradossale dove più risplende il Volto vero di Dio: noi non potremmo conoscere il Padre se Gesù non ce lo avesse rivelato nella sua passione.
Carissimi fratelli,
Voi state per diventare diaconi, come tappa necessaria per arrivare più tardi al sacerdozio. Diaconi, cioè servitori. Il brano che meditiamo oggi, dunque, è molto pertinente e vi dona indicazioni di vita molto chiare riguardo al significato del vostro essere servitori che, ricordo continuamente, non cesserà con il sacerdozio, ma resterà come un aspetto costitutivo del vostro ministero nella Chiesa, per tutta la vita.
La vostra consacrazione come diaconi non vi rende persone speciali, superiori, maestri. Come non lo sarà la vostra consacrazione come sacerdoti. Anche se in certi nostri contesti vi conferiranno posti speciali, ricordatevi che siete solo a servizio del Regno e non suoi padroni, che non siete possessori della Parola di Dio, che ora potrete proclamare e commentare, ma solo servitori, cioè coloro che aiutano a diffonderla, ad amarla e niente più. Servirete in modo speciale sulla mensa eucaristica, ma solo per spezzare il pane celeste e condividerlo, e la stessa cosa sarete chiamati a fare della vostra stessa vita.
Non cadete nella tentazione dei primi posti, di coloro cioè che vogliono usare il loro ruolo e la loro posizione per mostrare se stessi, e la loro idea di Messia, piegando a modo loro la Parola di Dio per metterla a servizio delle proprie opinioni, anziché servirla e annunciarla in comunione con La Chiesa. L’Eucarestia, che celebra la morte e risurrezione di Cristo, il suo totale dono di sé, sia il centro del vostro ministero, sull’altare e nella vita. Non trasformate i sacramenti, di cui siete solo servitori, in un’occasione per mostrarvi ed esaltarvi. Siate invece solo strumenti della grazia che essi significano.
In questo nostro mondo che prende la gloria gli uni dagli altri, che cerca i primi posti, il successo, il potere, i soldi, che non conosce la gratuità, che mette se stesso prima dell’altro, siete chiamati a fare la differenza. Il vostro essere differenti, eppure felici, sia un annuncio di una pienezza che è possibile solo nel donare e non nel prendere.
Diaconia, dunque, come ci spiega il vangelo di oggi, significa manifestare nella vostra vita la gloria di Dio, vale a dire assumere lo stesso stile di Gesù, portare la sua stessa croce, e manifestare il suo stesso amore gratuito, libero, non secondo la logica mondana, ma secondo Cristo.
Diventare diaconi, dunque, non è innanzitutto fare qualcosa, compiere dei gesti; ma è partecipare intimamente ad uno stile di vita che è quello di Dio stesso. Dio è Colui che continuamente si spoglia di sé per darsi tutto all’altro.
L’atteggiamento più vicino allo stile di Dio è proprio quello del servizio. Gesù lo ha mostrato poco prima, quando dopo essersi cinto del grembiule, lava i piedi ai suoi discepoli. Anche voi, cingendovi di quel grembiule, vi rivestite della vita di Dio, che è una vita di dono di sé.
Così la gloria di Gesù si rifletterà anche in voi, e questo sarà la verità ultima della vostra vita, la vostra vera grandezza, aldilà di ogni successo o insuccesso, dentro ogni ricchezza e ogni povertà.
Coraggio dunque!
Abbiamo un esempio mirabile che ci ha mostrato come questo stile di vita sia davvero fonte di gioia e di pienezza: San Francesco d’Assisi. Lui ci ha mostrato che quanto Gesù chiede in questa sua bellissima preghiera sacerdotale non sono parole al vento, ma è possibile. Che spogliarsi di tutto, svuotarsi completamente, per servire solo ed esclusivamente il Signore, fare questa pazzia secondo il mondo, è motivo di una felicità e di una pienezza di vita incomparabili.
Possa, allora la vostra vita di Frati Minori diventare da oggi ancora più luminosa. Possa la vostra diaconia nella Chiesa fare crescere il Regno, del quale siamo tutti, ciascuno a modo suo, umili servitori.
†Pierbattista Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini