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Omelia per il Giovedì Santo 2023

Carissimi, 

Stiamo celebrando, oggi misteri grandi e ineffabili: l’istituzione del sacerdozio e della santissima Eucaristia, il comandamento nuovo dell’amore. Celebriamo la Vita risorta di Cristo comunicata a noi dallo Spirito nella Chiesa. Quest’anno mi colpisce particolarmente il momento, il clima in cui sono stati istituiti, quasi fondati: “nella notte in cui fu tradito” (cf Gv 13,2). Sappiamo tutti che l’intenzione degli autori sacri non è semplicemente quella di fornirci una informazione cronologica. La loro è una indicazione teologica, una “nota spirituale”. 

L’ora di Cristo coincide con l’ora delle tenebre. Vorrei qui contemplare con voi questo grande e tremendo mistero, proprio qui dove “si fece buio su tutta la terra” e dove gli angeli annunciarono poi il Risorto. 

La notte della Cena, dunque, era anche la notte di Giuda che uscì dal Cenacolo per andare a vendere Gesù. La notte della memoria di Cristo affidata agli apostoli era pure la notte di Pietro che rinnegò. La notte dell’Eucaristia era la stessa notte dell’abbandono e della fuga degli apostoli che lasciarono solo il Maestro. La notte del comandamento nuovo fu la medesima notte del sonno triste degli amici. 

Noi, qui e ora, non vogliamo attardarci sul lato oscuro di quella notte e di ogni notte, personale, politica, sociale e anche ecclesiale. Quel lato lo conosciamo bene, fin troppo, al punto da farci forse l’abitudine. La nostra vita, con i suoi passaggi e le sue crisi, la nostra Terra Santa con le sue violenze e le sue ingiustizie, la Chiesa stessa con le sue fatiche e le sue contraddizioni, ci rendono ogni giorno familiare il clima pesante di quella notte in cui il Signore fu tradito. 

Qui io vorrei con voi e per voi contemplare, sempre stupito e grato, il modo con cui Cristo attraversò quella notte, il modo con cui rispose alla disgregazione e allo sbandamento dei suoi, la Sua reazione alla paura e allo scoraggiamento. 

L’evangelista Giovanni dice che Gesù, sapendo tutto, consapevole del potere che il Padre gli aveva dato, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda di tradirlo, “si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto” (Gv 13,4). 

Il racconto è troppo solenne per pensare che la scelta sia casuale. Sono sette verbi, quanti sono i giorni della creazione, i giorni che servirono al Padre per estrarre dal caos primordiale il mondo e l’uomo. Sono i verbi dell’amore vero, sono i verbi della Pasqua che servono a Cristo per ricreare l’uomo, portandolo fuori dalla sua notte e dal suo peccato. Sono le azioni nuove del Verbo incarnato che oppongono ai meccanismi della disgregazione e della divisione, il dinamismo della comunione che sorge dal dono di sé spinto fino al perdono. 

Sono indicazioni di vita che il Maestro ha lasciato come eredità ai suoi discepoli, a noi, piccolo gregge di Terra Santa, forse oggi un po’ spaventato, ma che sa di non essere mai abbandonato e lasciato solo. 

Si alzò. Alzarsi, senza restare seduti nella rassegnazione e paralizzati dallo sconforto, senza chiudersi nella propria solitudine, una delle nuove forme di povertà oggi. Penso in particolare ai tanti sacerdoti che spesso si sentono e sono soli, non ascoltati, disorientati dal cambiamento così repentino delle proprie comunità. 

Depose le vesti. Deporre le vesti del proprio orgoglioso diritto e del vantaggio individuale, della pretesa di essere sempre nel giusto, di non mettersi mai in discussione, della chiusura ad uno stile di ascolto e di accoglienza. 

Preso un asciugato, lo cinse attorno alla vita. Cingersi della vita dell’altro, assumendola come propria. Fare sì che l’altro diventi soggetto e non oggetto della propria azione. Penso alle tante persone, e ai tanti sacerdoti che spendono la loro vita a servizio della Chiesa e delle loro comunità, alla loro inevitabile fatica, ma anche alla consolazione nel fare della propria vita un dono di sé. 

Versò dell'acqua. Versare la propria vita raccogliendola nelle proprie mani, senza disperderla in sterili recriminazioni e nostalgie, senza perdersi in aride polemiche ideologiche di qualsiasi genere, ma cercando di fare unità in noi stessi, e di raccoglierci e incentrarci solamente in Cristo e nel Vangelo. 

Decidersi piuttosto a lavare i piedi dei fratelli, accettando i loro limiti e senza arretrare di fronte alla fatica delle relazioni, fatica che, qui in Terra Santa e a Gerusalemme, conosciamo bene. Quando tutto diventa sospetto, sfiducia, tradimento, Gesù risponde lavando i piedi, a tutti, anche a Giuda, e indica anche a noi il modo per uscire dalle nostre notti: chinarsi e lavare i piedi, anche a chi ha il cuore lontano da noi. 

Asciugarli. Asciugare, non solo i piedi ma anche le lacrime, riabilitare, rinsaldare ciò che è debole senza lasciare indietro nessuno. 

Così, per noi, per tutti, la notte della morte si trasforma nella notte della vita ritrovata, perché donata. L’amore vero, infatti, quello che viene da Dio e a Dio conduce, quello che ha la sua essenza nel dono di sé fino alla fine, ha il potere di trasformare le tenebre in luce, i tradimenti in perdono, gli abbandoni in ritorno, la morte in vita nuova. L’amore vero ricrea la comunione dentro e attraverso le nostre divisioni e le nostre ferite, perché Dio è Amore e noi abbiamo creduto all’amore. 

Cari amici, anche nelle nostre mani Dio ha messo tutto il potere del suo amore; anche noi sappiamo che la nostra vocazione e il nostro sacerdozio, battesimale e presbiterale, vengono da Dio e a Dio conducono (questo ci ricordano gli oli sacri). Anche noi, quindi, resi partecipi di Cristo, possiamo trasformare la notte della disgregazione nella notte della comunione più grande, se facciamo nostri i verbi del Verbo, le azioni di Cristo. Qui c’è il senso profondo del “agere in persona Christi capitis”. Non possiamo e non dobbiamo restringere una grazia tanto grande al pur necessario servizio liturgico. C’è una dimensione esistenziale ed ecclesiale dei sacramenti che va riscoperta e approfondita. 

La sinodalità, che il Santo Padre ci propone come il modo di essere Chiesa in questo tempo e che ci vede coinvolti tutti e dappertutto, altro non è che la risposta della comunione al tempo della disgregazione e della confusione. Senza questo sguardo spirituale, la stessa sinodalità, anzi la Chiesa intera, si riduce a strategia funzionale, incapace di ricrearci e di ricreare lo spazio e il tempo per una rinnovata gioia del Vangelo. 

Auguri allora a tutti noi! Auguri alla Chiesa e al mondo: la Pasqua del Signore rinnovi e ricrei la comunione e ci dia di camminare al passo dell’amore vero. 

†Pierbattista Pizzaballa 
Patriarca di Gerusalemme dei Latini