Santi Simeone ed Anna
Gerusalemme, 6 febbraio 2022
Carissimi,
Il Signore vi dia pace!
Sono grato al Signore di poter celebrare con voi la memoria dei santi Simeone ed Anna, a cui è dedicata questa cappella e questa casa. Da molti anni non celebravo con voi questa ricorrenza. Ringrazio quindi la provvidenza per questa occasione.
Mi rallegro, inoltre, per il rinnovo della cappella, che ora è ancora più bella. Questa cappella, anche se piccola e un po’ nascosta, è però una presenza preziosa nel cuore della città nuova di Gerusalemme. È il luogo dove ogni giorno, nel cuore del mondo ebraico di Gerusalemme, si prega, si adora e si intercede, e dove la Chiesa, silenziosamente, non in incontri accademici, ma nella vita di ogni giorno, costruisce concretamente relazioni e cerca forme di dialogo e fraternità con il popolo di Israele.
La vostra piccola comunità ha infatti questa missione speciale non solo per la nostra chiesa di Gerusalemme ma anche per tutta la Chiesa universale, missione complessa e non facile, ma forse proprio per questo ancora più necessaria: testimoniare l’amore a Gesù in mezzo al popolo ebraico; amare Gesù e amare il popolo di Israele, cercando di superare e colmare le reciproche incomprensioni, legate al nostro difficile comune passato, legato alla politica dei nostri giorni, legato, insomma, alle diverse incomprensioni che ancora oggi purtroppo esistono tra noi. Avete l’importante missione di essere per tutta la chiesa quel legame prezioso tra la Chiesa di Cristo e il popolo che ce lo ha donato. Essendo parte integrante della Chiesa di Gerusalemme, pregate in ebraico, i vostri ritmi sono scanditi dal calendario ebraico, le vostre amicizie e relazioni lavorative, economiche e sociali sono immerse nella società di israeliana. Voi, insomma, conoscete questi nostri fratelli dal di dentro e, senza giudicarli, date espressione in maniera concreta, reale, vissuta, al nostro comune desiderio di relazione con Israele.
È un compito che richiede pazienza e parrhesia, amore e fermezza, visione e realismo. È un compito che espone facilmente alla solitudine, tipica di chi vive tra i confini di identità, popoli e religioni, e che richiede un amore solido e profondo, che può essere nutrito solo da una fede salda.
Simeone ed Anna, i patroni della vostra comunità, sono un esempio emblematico.
La cornice è quella del tempio di Gerusalemme, dove Maria e Giuseppe portano il bambino per adempiere la Legge che voleva che tutti i primogeniti fossero riscattati.
In realtà, l’evangelista concentra qui una serie di riti anticotestamentari, ma apparentemente con poca precisione. Al versetto 23, infatti, parla della “loro” purificazione, quella cioè della mamma e del bambino, mentre la purificazione riguardava soltanto la madre, e non il figlio. Luca poi passa subito ad un altro rito: la presentazione del neonato a Dio nel tempio, rito che ai tempi di Gesù non era più in uso, mentre poi omette quello del riscatto del primogenito, che invece era prescritto dalla Legge (Nm 8,14-16), e che però si poteva compiere dovunque, senza necessariamente andare al tempio.
L’intenzione dell’evangelista è quella di poter raccontare l’evento centrale, ovvero l’incontro con Simeone e Anna, israeliti fedeli al Signore che, in obbedienza allo Spirito, ricevono la rivelazione della presenza del Messia.
Da una parte, infatti, è sottolineata l’obbedienza alla Legge: in 3 versetti, dal 22 al 24, Luca parla per 3 volte dell’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore (“Secondo la legge di Mosè… come prescrive la legge…”).
Dall’altra, troviamo un’altra obbedienza, quella di Simeone allo Spirito: di nuovo, in tre versetti (dal 25 al 27) è nominato per tre volte lo Spirito, che muove i passi di Simeone incontro al Messia atteso. In questo brano il vero protagonista è lo Spirito Santo.
Possiamo dire che l’obbedienza alla Legge muove i passi della sacra famiglia verso il tempio, e l’obbedienza allo Spirito muove quelli di Simeone. In quel momento, in un certo senso, l’antica legge si incontra in maniera nuova con lo Spirito Santo e la sua legge. È così che accade l’incontro e la rivelazione.
Simeone non ha fatto nulla di particolare, non ha nulla di cui vantarsi, se non quello di aver visto che Dio è stato fedele a ciò che gli aveva promesso. E ha visto la salvezza del Signore.
Non ha visto solamente un bambino, non ha visto il Cristo di Dio; con gli occhi dello Spirito, ha visto che questo Bambino, questo Messia, è Colui che salva, è la salvezza.
In altre parole, Gesù, che è portato al tempio per essere riscattato, è riconosciuto come colui che riscatterà il suo popolo e tutte le genti, come Colui che porterà la salvezza definitiva. Per tutti questo Messia sarà una luce.
È stato lo Spirito che ha permesso a Simeone e poi alla profetessa Anna di vedere ciò che la folla nel Tempio non ha potuto notare. È lo Spirito Santo che consente di vedere la salvezza che si realizza, che consente cioè di andare oltre ciò che gli occhi della carne vedono, e carpire il senso profondo degli avvenimenti.
Non sarà facile. La salvezza passerà attraverso l’ostilità e il rifiuto: sarà una sofferenza a caro prezzo. Questa salvezza, da subito annunciata come una salvezza per tutti, diventa tuttavia anche un segno di contraddizione, un motivo di rifiuto. «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione — e anche a te una spada trafiggerà l’anima —, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34–35).
Perché di fronte a Gesù, sarà necessario prendere posizione, schierarsi: per chi non l’accoglie sarà pietra d’inciampo, e per chi l’accoglie sarà risurrezione e vita.
Simeone e Anna ci insegnano il significato dell’attesa, a rispettare i tempi di Dio, i tempi degli altri, il significato della vigilanza, il sapere guardare alla realtà del mondo con gli occhi dello Spirito, che ci apre alla speranza, perché ci fa capaci di cogliere i segni della salvezza che si compie nella vita ordinaria di ciascuno di noi.
Si, in questo mondo sempre più complesso, nelle nostre rispettive società che sembrano essere sempre più divise e aggressive, in questa nostra Chiesa, la cui voce sembra essere quella di chi grida nel deserto, il disegno di Dio si compie. Non lasciamoci spaventare dalle paure del mondo, ma lasciamoci guidare dallo Spirito per cogliere i semi del regno che lentamente cresce. Non vogliamo assomigliare alla folla del tempio, incapace di cogliere i segni della presenza di Dio.
Gesù ha detto:“Quando già germogliano [le foglie degli alberi], capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino” (Lc 21,30–31).
Ci chiede di saper cogliere i segni della presenza del Regno nel nostro mondo, nella nostra epoca. Vuole che siamo come Simone e Anna, coloro che hanno sperimentato la salvezza e la vedono avverarsi. Sì, anche nelle nostre vite limitate, nelle nostre debolezze, nelle nostre contraddizioni, il Regno si compie.
Possa lo Spirito guidare ciascuno di voi e la vostra comunità e dia la forza di vedere, giorno dopo giorno, con gli occhi dello Spirito il compiersi del progetto di Dio su di voi, sul popolo di Israele e di essere testimoni nella e per la Chiesa della “luce delle genti e della gloria del suo popolo Israele."