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Omelia Pentecoste 2021

Pentecoste

Dormizione 2021

Carissimo padre Bernard,

Cari Fratelli della Dormizione, cari Fratelli e sorelle,

Il Signore vi di pace!

Il brano di Vangelo ascoltato oggi (Gv 20,19-23) ci riporta alla sera di Pasqua: secondo l’evangelista Giovanni, quella sera stessa Gesù appare ai suoi, che per paura si sono rinchiusi in casa, e lì subito, dona loro il suo Spirito.

Giovanni unisce strettamente il dono dello Spirito alla Passione e alla Pasqua, come un unico grande movimento, un unico mistero di salvezza: vuole sottolineare e farci comprendere che lo Spirito sgorga dalla croce, dal costato aperto del Signore che dà la vita. Non ci può essere lo Spirito senza questo dono di sé che Gesù porta a compimento per noi sulla croce. E, d’altra parte, la Pasqua non si compie se non lì dove lo Spirito Santo è comunicato agli uomini.

Il fine della Pasqua è che la vita del Risorto abiti dentro di noi, che noi siamo resi partecipi del Suo stesso modo di vivere. Per questo Gesù, il giorno stesso della Sua risurrezione, raggiunge subito i suoi e condivide con loro la vita che il Padre gli ha dato: questa vita, che è una vita vera perché è rinata dagli abissi, ora è per tutti coloro che l’accoglieranno.

Per dire che Gesù dona lo Spirito, l’evangelista Giovanni usa un termine importante e rarissimo: nel Nuovo Testamento lo troviamo solo qui. Dice allora che Gesù soffiò, alitò su di loro (Gv 20,22), ma si potrebbe tradurre anche “in” loro: lo Spirito è un dono che non rimane esterno alla persona, ma che entra dentro, che diventa il respiro stesso dell’uomo.

Questo verbo, unico nel Nuovo Testamento, è presente proprio all’inizio della Bibbia: Dio, dopo aver plasmato l’uomo con polvere del suolo, “soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7): l’uomo, quindi, è formato da due elementi, entrambi segnati da una grande precarietà: la polvere del suolo, ovvero quella parte più delicata e meno consistente della terra, che per questo simboleggia la fragilità della sua costituzione fisica, e l’alito di vita, che indica tutto ciò che fa di un corpo inanimato una persona viva: tutto ciò che permette di respirare, che dà la possibilità di vivere.

Ebbene, come Dio soffia nelle narici di Adamo la vita naturale, perché possa vivere, così Gesù soffia nei discepoli il respiro della vita nuova, perché possano vivere da risorti: lo Spirito non è qualcosa in più, un accessorio, ma è esattamente ciò che ci fa vivere. L’uomo è una creatura chiamata a tenere insieme questi due elementi, che di per sé sarebbero lontanissimi tra di loro, come il cielo e la terra.

Vi e un passaggio nella letteratura rabbinica[1] molto bello secondo il quale l’uomo è fatto di terra e di cielo e che l’equilibrio tra questi due elementi nella vita dell’uomo sono necessari perché nel mondo sussista la pace. Se l’uomo è troppo spirituale e dimentica il materiale non ci può essere pace nella vita dell’uomo e nel mondo. Viceversa, se vive solo delle cose della terra, dimenticando il cielo, l’uomo non è in pace e non ci può essere pace nemmeno nel mondo.

La Pentecoste svela in modo definitivo il mistero dell’uomo: nella sera di Pasqua, attraverso il soffio di Gesù, Dio ci rende nuova creatura, chiamata a tenere insieme la vita naturale e quella divina, la carne e lo Spirito, la terra e il cielo. Solo allora l’uomo è compiuto.

Non solo. Ma un altro elemento viene ad illuminare questo compimento di creazione che la Pentecoste realizza: nel racconto di Genesi l’opera di Dio riguarda l’uomo, il primo uomo, il singolo. Nella Pentecoste vi è qualcosa di diverso: la sera di Pasqua Gesù dona lo Spirito ai discepoli riuniti insieme, e li ricrea come comunità di fratelli. Nasce la Chiesa.

L’opera dello Spirito è un evento di comunione, crea una fraternità, compone le differenze, rende possibile l’unità. In altre parole è all’origine della Chiesa. La vita nuova dello Spirito è una vita non più vissuta nella solitaria ricerca del proprio compimento, ma nell’incontro con il fratello con il quale la vita è condivisa: non può essere vissuta se non è a propria volta comunicata, condivisa, donata, perché questa stessa vita, in se stessa, non è altro che dono. Se la tratteniamo e se la si possediamo, si spegne lo Spirito e si ritorna nella morte

Per questo, strettamente legato al dono dello Spirito c’è il dono di perdonare i peccati (Gv 20, 23) ovvero la capacità di non lasciare che il male sopraffagga l’uomo, distruggendo le sue relazioni: gli apostoli, pieni di Spirito Santo, sono inviati a fare la stessa cosa che hanno visto in Gesù, cioè a portare la vita dove c’è la morte. È questo lo Spirito che hanno ricevuto.

Il Vangelo di oggi e la solennità della Pentecoste sono un richiamo alla nostra Chiesa.

Unità, diversità, comunione, relazione, condivisione, dono di sé, amore, pace… sono le parole che risuonano a Pentecoste, quando parliamo di dono dello Spirito Santo e nascita della Chiesa. Eppure, se guardiamo alla nostra realtà, qui a Gerusalemme, vediamo le Chiese nelle loro diversità senz’altro, ma non così unite. Assistiamo a divisioni di ogni genere, nella Chiesa, nella società, nella politica, nelle famiglie… Siamo appena usciti da un ennesimo ciclo di violenza, causa di rancore e profonda frustrazione… insomma, sembra che lo Spirito a Gerusalemme non riesca a fare breccia nel cuore dei suoi abitanti.

Ma sarebbe ingiusto limitarsi a questo. Lo Spirito apra i nostri occhi, innanzitutto per vedere il bello che ancora c’è tra noi e le tante belle realtà che compongono la nostra società. Rifiutarsi o essere incapaci di vedere le tante persone, istituzioni, opere di unità, di condivisione e di amore reciproco che ancora esistono tra noi, è un modo di spegnere lo Spirito con il quale siamo stati segnati.

La Pentecoste, inoltre, ci richiama a diventare noi coloro che costruiscono l’unità, la condivisione, l’amore, la pace, che sono si un dono che viene dall’alto, ma che deve essere costruito con le nostre mani, il nostro impegno e il nostro sincero desiderio. Lo Spirito è la forza che ci sostiene, ma non si può sostituire alla nostra libera scelta di vivere come figli di Dio.

Il Signore perdoni le nostre infedeltà, ci renda a nostra volta capaci di perdono reciproco e ci sostenga in questo nostro comune desiderio di diventare nel mondo operatori dell’azione dello Spirito e costruttori di unità e pace.

+Pierbattista