3 giugno 2021
Corpus Domini, anno B
Santo Sepolcro
Eccellenze Reverendissime,
Cari fratelli nel sacerdozio
Carissimi tutti,
La pace sia con voi!
La Chiesa di Gerusalemme è in festa oggi, per questa bella e tradizionale solennità.
La nostra Chiesa è in festa perché, come abbiamo sentito da mons. Marcuzzo, celebriamo tanti e importanti anniversari di sacerdozio.
La liturgia di oggi ci aiuta a comprendere ciò che oggi celebriamo e ciò che per generazioni i nostri giubilati hanno proclamato.
Nella solennità di oggi leggiamo lo stesso Vangelo che la Chiesa proclama nella sera del Giovedì Santo, nel ricordo dell’ultima cena, che ci riporta ai giorni della Passione: Gesù offre il suo corpo e il suo sangue, cioè la sua vita; lo offre in un estremo gesto d’amore, come segno di alleanza, come cibo di salvezza, come principio di vita nuova, per tutti. Letto oggi, dopo l’Ascensione e la Pentecoste, alla luce quindi della pienezza del mistero pasquale, questo Vangelo assume una luce e un significato nuovo, e viene in qualche modo dilatato all’infinito.
Nel nostro brano Gesù dedica molta attenzione ai preparativi (Mc 14,12-16): sono accurati. In qualche modo è Gesù stesso che prepara questa cena, che la rende possibile. L’iniziativa sembra dei discepoli: “Dove vuoi che andiamo a preparare…?” (Mc 14,12). Ma non è così: essi scoprono che c’è già una stanza pronta, una stanza che qualcuno ha già arredato e preparato (Mc 14,15), e che a loro spetta solo di portare il necessario per la cena, ovvero l’agnello, le erbe amare, il pane e il vino per ricordare l’uscita di Israele dall’Egitto.
Quanto loro porteranno, sarà preso tra le mani dal Signore, e diventerà Eucaristia.
I discepoli, inoltre, chiedono a Gesù dove preparare perché Lui possa mangiare la Pasqua (Mc 14,12). In realtà, neanche questo accadrà secondo le loro attese, perché non sarà Lui a mangiare la pasqua, ma sarà Lui ad offrirsi in cibo, affinché i discepoli possano mangiare un cibo di vita eterna, un cibo completamente nuovo.
I discepoli, insomma, sono chiamati semplicemente ad accogliere l’Eucarestia come compimento di un dono preparato da sempre.
Ma il Vangelo di oggi ci dice anche che l’Eucarestia è anche un dono al quale ci si deve preparare. È così grande, da richiedere tempo e preparazione perché possa essere compreso. Ha bisogno di un cammino che poco alla volta faccia prendere coscienza della grandezza di questo mistero.
Anche nei nostri giorni, in cui l’immediato e il “subito e ora” sono apparentemente una conquista sociale, l’Eucarestia rimane un mistero che ha bisogno di tempo, di accoglienza e comprensione.
Nella prima lettura troviamo un’espressione che è diventata indicazione spirituale per generazioni di credenti: “lo eseguiremo e vi presteremo ascolto” (Ex 24, 7). A rigor di logica dovrebbe essere il contrario. Lo ascolteremo, cioè lo capiremo, e poi, e quindi, lo eseguiremo. Il brano dice il contrario: lo faremo, lo eseguiremo e poi, facendolo, poco alla volta lo comprenderemo. Ci troviamo nel momento capitale della storia veterotestamentaria, l’alleanza sul Sinai. Il popolo non è in grado di comprendere cosa realmente sta accadendo, ma si fida e si affida. È come se dicesse: “In questo momento non capiamo tutto, ma abbiamo fiducia in te, e faremo ciò che dici confidando che, facendolo, comprenderemo sempre di più” (Lc 5,5: sulla tua parola getterò le reti…”).
Credo che sia stata l’esperienza di ciascuno di noi e sicuramente dei nostri giubilati. Sono certo che celebrando quotidianamente il mistero dell’Eucarestia, quel mistero incommensurabile sia penetrato poco alla volta nella vita di ciascuno di loro in maniera sempre più profonda, intensa, ricca e abbia formato il loro modo di pensare, di vivere e di pregare: dalle prime messe celebrate con devota scrupolosità, passando per la stanchezza della ripetitività, forse, fino ad arrivare alla profondità del mistero che si può solo contemplare e che tuttavia diventa nutrimento reale e non solo devozionale, della vita di fede. Si, solo dopo anni di celebrazione, solo dopo avere provato la gioia iniziale, la fatica e la solitudine ma anche la consolazione del ministero, si può comprendere meglio e “prestare ascolto” con maggiore consapevolezza alla grandezza del mistero che celebriamo: nell’Eucarestia, l’amore è cibo vero.
Quell’amore che celebriamo nel mistero, è diventato poco alla volta anche l’amore che celebriamo nella vita, un amore che ha acquisito nel tempo il sapore dell’esperienza concreta della vita, un pane che insieme al grano e all’acqua, ha acquisito anche il sapore del sudore e delle lacrime, ma che proprio per questo diventa ancora più “reale”, perché unisce la vita al mistero che celebriamo e così l’Eucarestia diventa vera, reale offerta della vita e non solo un rito.
L’Eucaristia non è solo un gesto occasionale, un momento della vita di Gesù e nostra: ne è piuttosto lo stile, il modo abituale di vivere. Un modo di stare nella vita prendendola tra le mani, così com’è, per offrirla in dono, per donarla e restituirla.
Ritorniamo allora a quel versetto iniziale del Vangelo di Marco, alle prime parole di Gesù, quelle per cui il regno di Dio è vicino (Mc 1,15).
Perché oggi capiamo ancor meglio cosa significhino queste parole e come il regno di Dio si è fatto vicino: è vicino, è presente nella Chiesa che vive l’Eucaristia; è presente quando la Chiesa vive dell’Eucaristia, cioè se ne lascia impregnare al punto che l’Eucaristia diventa stile di vita, modo di amare e di servire, di donare e restituire.
La fedeltà di questi nostri giubilati ci esorta a seguirne l’esempio, a celebrare nella vita il dono dell’amore ricevuto e donato. Lo chiedo per me, lo chiedo per tutti i nostri sacerdoti, perché diventino veramente a loro volta pane spezzato per la vita del mondo. Che il mistero che celebriamo sull’altare diventi davvero per tutti noi uno stile di vita, un continuo farsi dono, gratuito e libero. Preghiamo in particolare per i sacerdoti che in questo momento faticano a vivere tutto ciò, che vivono in questo momento la loro notte: possano riscoprire la luce e la vita vera nell’unione con Cristo.
Lo chiedo infine per la nostra Chiesa e per la nostra Terra, divisa e ferita da odio e rancore. Sperimentiamo continuamente, quotidianamente, nella nostra vita ordinaria i frutti dell’odio e il potere del divisore. E in questi giorni di guerra in maniera ancora più accentuata e inaspettata. Di fronte a tale odio e rancore, l’Eucarestia deve diventare per noi la sorgente dalla quale attingere la forza della testimonianza di amore e incontro, nonostante tutto. Rendere la nostra Chiesa capace di costruire e guardare avanti con fiducia. Siamo certi, infatti, che in quel pane spezzato, sull’altare e nella vita, sussista davvero la salvezza del mondo e che niente può spegnere quell’amore che ha vinto il mondo, nemmeno ora e nemmeno qui, nella nostra Terra.
Rinnoviamo oggi per i nostri giubilati e per tutti noi, il nostro impegno ad “eseguire e comprendere”, ogni giorno, il mistero dell’Amore, che da sempre ci precede e che da sempre ci attende.
Amen.
+ Pierbattista