Cerimonia di apertura della fase diocesana del Sinodo Generale della Chiesa Cattolica
30/10/2021
Fratelli, siamo riuniti oggi in questo Santuario di Deir Rafat, nella Solennità della Beata Vergine Maria, Nostra Signora di Palestina, per aprire ufficialmente il cammino sinodale nelle nostre diocesi cattoliche di Terra Santa, nel contesto più ampio del Sinodo Generale della Chiesa Cattolica, inaugurato dal Santo Padre Francesco lo scorso 9 ottobre.
Ricordiamo che uno dei periodi più vivaci della storia recente della nostra Chiesa in Terra Santa è stato il Sinodo delle Chiese cattoliche in Terra Santa negli anni ‘90, culminato nel Sinodo di Betlemme del 2000, che ha visto, come avverrà anche in quest’occasione, la partecipazione di tutte le nostre Chiese cattoliche di Terra Santa. Questa celebrazione eucaristica è quindi di un’importanza storica: ci sentiamo come i discepoli riuniti nel Cenacolo con Maria, Regina della Palestina, Madre della Chiesa Universale e Madre della nostra Chiesa-madre di Gerusalemme. È come se volessimo, timidamente, riprendere il filo del discorso lasciato aperto 20 anni fa con il sinodo delle nostre Chiese. Ci vorrà tempo per riprendere i tanti discorsi lasciati aperti venti anni fa, certamente, ma consideriamo questo momento come un primo passo verso quell’obiettivo.
È lo stesso Papa Francesco, che ci ha invitati a camminare insieme (ciò che esprime originariamente il termine greco «synodos») come Chiesa universale, in ogni luogo della terra. Qui in Terra Santa abbiamo scelto la storia dei discepoli che camminano insieme verso Emmaus e insieme ritornano Gerusalemme (Lc 24,13-33) come icona, guida e ispirazione di tutto il processo sinodale che ci attende.
Siamo pronti a partire per questo viaggio, per quest’«avventura»? Due elementi anzitutto mi preme evidenziare all’inizio del cammino sinodale. Primo: vogliamo metterci in cammino. Forse da tempo eravamo fermi, come in attesa… Ora vogliamo riprendere, così come siamo – con tutte le nostre ferite, proprio come i due di Emmaus – il cammino. Secondo: vogliamo farlo insieme, come Chiesa, come comunità. Certo, spesso non è facile per le nostre diocesi essere insieme, a causa dei confini politici, distanze culturali, difficoltà di ricevere i permessi per spostarsi da una zona all’altra delle nostre diocesi: tutto sembra volerci tenere distanti. Per questo trovo bello e significativo che in tutte le parti delle nostre chiese (Galilea, Palestina, Giordania e Cipro), siamo in questo momento riuniti. Saluto, quindi, le nostre comunità di Giordania e di Cipro, che si sono unite oggi a noi in preghiera.
Mettersi in cammino è essere disposti a uscire, a cambiare, a guardare oltre la propria realtà ordinaria, a lasciarsi trasportare dalla dynamis, dalla potenza dinamica dello Spirito. Nella Chiesa non si parte mai da soli, ma sempre con gli altri, con la nostra comunità. Per questo, Gesù invia sempre i suoi apostoli due a due. Gli stessi due di Emmaus, benché delusi e tristi, camminano insieme e sfogano l’un l’altro le loro sofferenze, finché il Risorto non si accosta a loro nel cammino, proprio come afferma Qoèlet: «Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi» (Qo 4,9-10).
La comunione è, pertanto una realtà centrale in questo cammino! Guardiamoci intorno, vediamo chi è qui con noi oggi e chiediamoci se manca qualcuno e chi dovrebbe esserci. La comunione comincia certamente ad intra, dalle nostre famiglie, case religiose, parrocchie, movimenti e realtà ecclesiali, ma per poi estendersi ad extra, all’intera comunità cattolica e cristiana e più al di fuori che sia possibile.
In Terra Santa la comunione ha tanti volti: tra cristiani di diverse confessioni, tra cattolici di diverse Chiese, tra comunità religiose di varie realtà, con persone di altri credi e religioni. Chiediamoci allora, se in questo contesto così ricco, sono le nostre comunità fermento di comunione. Siamo chiamati in questo momento a portare nel cammino sinodale questo respiro ampio, questo sapore di vangelo e di fraternità, questa apertura a molti, a tutti. Le nostre comunità possono essere laboratori di comunione, di fraternità e di dialogo, dando a questa Terra benedetta e ferita da tante divisioni politiche, sociali e religiose il gusto della comunione.
Pensiamo, infine, a quelli che troppo spesso ignoriamo, che restano ai margini della nostra Chiesa. Siamo chiamati a invitare a questo viaggio coloro che non frequentano regolarmente la Chiesa, coloro che si sono allontanati. Il Papa vuole che il prossimo Sinodo ci scuota e ci aiuti a ripensare il nostro modo di essere comunità. Stiamo vivendo pienamente la vita cui siamo stati chiamati? In che modo possiamo rinnovare la nostra identità e la nostra fede? Come possiamo credere veramente in ciò che ci è stato promesso?
Come i due discepoli sulla via di Emmaus, vogliamo aprirci a condividere il cammino. A condividere le nostre preoccupazioni, i nostri sentimenti, le nostre ferite. Sono tante le crisi che affrontiamo, sia nella Chiesa che nel mondo, ingenti le sfide che ci attendono, immensa la missione a cui siamo chiamati. Siamo circondati da tribolazioni che a volte ci gettano nella disperazione. Come i due di Emmaus, avevamo speranze che sono state deluse; abbiamo cercato comunità vibranti, eppure troppo spesso ci sentiamo soli; cerchiamo di essere riempiti di Spirito Santo, ma le nostre ansie ci bloccano la strada; cerchiamo Gesù nella nostra vita ed ecco, ci sembra che sia sparito.
Come i due discepoli, Gesù ci cerca lungo il cammino. Viene ad ascoltarci. È il nostro Emmanuele, il Dio con noi (cf. Is 7,14; Mt 1,23), eppure all’inizio non lo riconosciamo. Il cammino sinodale vuole essere uno strumento per farci aprire gli occhi, le orecchie, i cuori affinché lo vediamo in mezzo a noi. Sta camminando con noi. Lo incontriamo regolarmente nell’Eucaristia e nei Sacramenti. Sappiamo però che viene a noi anche nei nostri fratelli e sorelle che camminano con noi, specialmente quelli ai margini delle comunità. Vogliamo prendere coscienza di tutti loro, non solo di quelli che parlano forte e chiaro, ma di quelli che troppo spesso tacciono, perfino quelli assenti.
La partecipazione è, pertanto, un’altra realtà centrale in questo percorso. Al centro del processo sinodale c’è anche la disponibilità ad ascoltare mentre camminiamo! Nell’ascoltare i nostri fratelli e sorelle attentamente, nell’aprire il nostro cuore per farli entrare, anche Gesù Cristo si fa sentire e riempie il nostro cuore di un fuoco ardente (cf. Lc 24,32). Gli incontri e le iniziative programmate hanno proprio questo scopo, di creare occasioni di ascolto a tutti i livelli. È importante, però, come ho già ribadito diverse volte, che l’ascolto sia illuminato dalla presenza del signore, perché non diventi solo una litania di lamentazioni.
Il cammino sinodale, proprio come il cammino dei due di Emmaus, non è tanto un avvenimento quanto piuttosto uno stile, un modo di stare nella vita. Siamo dominati da una mentalità che si concentra su ciò che ci manca. Questo è reale e urgente, ma può creare disperazione. Spero, invece, che questo nostro cammino, poco alla volta, permetterà ai nostri occhi di vedere e alle nostre orecchie di ascoltarlo, di renderci conto non solo di ciò che ci manca ma anche di ciò che abbiamo: lui e il dono che ci fa dello Spirito, lui e il dono che ci fa dei fratelli e delle sorelle che camminano con noi sulla strada.
In modo speciale, come sulla via di Emmaus, vogliamo rileggere le Scritture, la Parola di Dio che ci dà forza se la leggiamo con Gesù. Egli ci apre le Scritture, trasformando una lettera morta in uno spirito vibrante che infiamma i nostri cuori. Accostandosi a noi nel cammino, come avvenne ai due discepoli sulla via di Emmaus, Cristo Risorto ci aiuta a interpretare i fatti passati alla luce della fede, illumina gli eventi della nostra storia, anche quelli più dolorosi, come eventi provvidenziali e di grazia (cf. Lc 24,25-27).
Il cammino sinodale ci riconduce poi continuamente all'Eucaristia, realtà centrale della nostra vita di credenti. Come i due discepoli a Emmaus, è alla mensa eucaristica, allo spezzare il pane, che riconosciamo Gesù (cf. Lc 24,30), che siamo nutriti e fortificati in questo cammino, incoraggiati a rinnovare i nostri sogni e a operare per il Regno di Dio che è già in mezzo a noi. Le nostre ansie e paure, il nostro senso di solitudine e disperazione possono essere portate sulla mensa eucaristica. Non siamo soli mentre ci riuniamo lì. Il Signore è qui, viene non solo per ascoltare ma per trasformare la nostra vita in modo che possiamo nuovamente scegliere di avere la vita in abbondanza. Vi incontriamo anche i nostri fratelli e sorelle, anch’essi affamati del pane della vita, assetati del calice della salvezza. Sappiamo descrivere bene ciò che ci manca ma cerchiamo sempre più chiaramente anche di dire ciò che abbiamo.
In tal modo, quando Cristo cammina con noi, reinterpreta per noi le Scritture, rimane con noi per spezzare il pane, «non si fa più sera» (cf. Lc 24,29) ed egli ci libera dalla pericolosa tentazione del vittimismo. I due di Emmaus, che si allontanavano da Gerusalemme con il «volto scuro» (Lc 24,17), frustrati, falliti e feriti, vedono le piaghe gloriose di Cristo e, alla luce di esse, comprendono le loro ferite. Si incontrano così con il «Guaritore ferito», Gesù, che cura le loro piaghe con le sue piaghe (cf. Is 53,5; 1Pt 2,24). Noi non siamo chiamati solo a cercare le cause delle nostre ferite, quanto piuttosto di far sì che esse siano trasfigurate in Cristo. Anche le nostre ferite, personali, sociali ed ecclesiali possono essere trasfigurate dall’incontro con il Risorto.
Quando i due di Emmaus riconoscono nel misterioso pellegrino Gesù Risorto, questi scompare e ritorna a essere il Viandante celeste. Proprio quando «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» egli «sparì dalla loro vista» (Lc 24,31). Egli è in perenne dinamismo, sempre in cammino. Anche noi, come i due di Emmaus, siamo chiamati a vivere insieme questo dinamismo. Anche noi, come loro, possiamo ritornare correndo a Gerusalemme, alle sorgenti della nostra fede, al Cenacolo, a Pietro e alla comunità apostolica, per rimetterci in cammino verso il mondo e annunciare con tutta la Chiesa che Cristo è veramente risorto ed è il Medico Celeste e Universale. Questo, dunque, è un cammino sinodale che ci unisce, ascoltandoci gli uni gli altri, aprendoci allo Spirito che abbiamo ricevuto a Pentecoste! Questo Spirito è il fondamento di una terza realtà, quella della missione, della testimonianza della Buona Novella, dell’annuncio.
Camminiamo verso un orizzonte sconosciuto confidando in un Signore e Salvatore conosciuto. E qui a Deir Rafat, in questo Santuario, ci poniamo sotto la mano di Nostra Signora di Palestina. Chiediamo la sua intercessione per intraprendere insieme questo cammino di rinnovamento. Guardiamo a lei, Stella della nuova evangelizzazione, perché rimanga con noi, come suo Figlio con i due di Emmaus, nel nostro cammino sinodale e orienti i nostri passi.
+Pierbattista