Omelia Prima Messa Sepolcro
Gerusalemme 5 dicembre 2020
Acts 10:34-43, Ps 118, Col 3:1-4, Jn 20:1-9
Eccellenze Reverendissime,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
il Signore vi dia pace!
All’inizio ufficiale del mio nuovo servizio, giungo qui in questo Luogo, per chiedere il dono dello Spirito, che sempre sostiene la Chiesa, affinché sostenga anche me e voi all’inizio di questo nuovo ministero.
Forma gregis pastor. Quale forma dunque? Quale modello?
Non è una casualità che si inizi proprio qui alla Basilica della Risurrezione questo nuovo ministero e che si legga il Vangelo della Risurrezione. E proprio alla luce di questo Vangelo vorrei che leggessimo questo nuovo ministero e la nostra Chiesa.
Che significa oggi per la Chiesa di Gerusalemme incontrare e testimoniare il Risorto? Che significa essere Chiesa a Gerusalemme? E che interpretazione ne do io, chiamato ad esserne pastore?
Il Vangelo parla di notte e buio, che però non spaventano più, perché stanno per cedere alla luce del mattino che incombe. Parla di pietra poderosa, ma ribaltata e che non rinchiude più nulla; di discepoli che corrono; di teli - segni della morte - che non legano più nessuno; di occhi che vedono; di cuori che credono e della Scrittura che si svela alla comprensione piena. È un Vangelo pieno di slancio e di vita, e parla di noi!
Il Vangelo ci chiede di non rinchiuderci nei nostri cenacoli e di non misurare la nostra vocazione ecclesiale sulle nostre paure, personali o collettive che siano, ma ci invita a leggere la realtà ecclesiale di Gerusalemme, della nostra Chiesa, alla luce dell’incontro con il Risorto.
Siamo la Chiesa del Calvario, è vero. Ma proprio sul Calvario, dal cuore trafitto di Cristo, nasce la Chiesa. Cristo sulla croce non è solo sofferenza redentrice, ma innanzitutto amore e perdono. Siamo dunque anche la Chiesa dell’amore, che non dorme mai, che veglia continuamente, che ha sa perdonare e donare la vita, sempre, senza condizioni.
Siamo la Chiesa del Cenacolo, ma non del Cenacolo con le porte sbarrate e persone paralizzate dalla paura. Il Vangelo parla di discepoli che corrono fuori per incontrare il Risorto. Cenacolo è luogo del Cristo Risorto che supera le porte chiuse e dona lo Spirito e la Pace. E ci chiede, perciò, di essere una Chiesa che supera muri e porte chiuse; che crede, annuncia, costruisce la pace, ma “non come la dà il mondo” (Gv 14,27). Abbiamo, infatti, assistito già troppe volte ad annunci di pace traditi e offesi. La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai.
Lo Spirito a Pentecoste ha creato una Chiesa variegata, intessuta di culture e lingue diverse, ma unica, con un “cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Anche noi, ancora oggi siamo una Chiesa diffusa su un territorio enorme, in cui le varie culture nelle diverse lingue sono a volte tentate di concentrarsi su di sé. Ma siamo chiamati all’unità, che è altra cosa rispetto all’uniformità. Vogliamo essere una Chiesa unita, senza frontiere, accogliente, capace di crescere e di amare nella diversità: fedeli locali dei diversi territori, pellegrini, migranti, lavoratori, sono tutti parte integrante della nostra multiforme Chiesa di Gerusalemme.
Il confrontarci continuamente con l’altro, il diverso da sé, già all’interno della nostra casa, la Chiesa, dovrebbe renderci capaci dell’ascolto dell’altro anche fuori della nostra casa. Il carattere molteplice della Chiesa di Gerusalemme, insomma, ci chiede di essere Chiesa sempre più “estroversa”, ospitale, aperta agli altri e all’altro.
Siamo una Chiesa numericamente piccola. Ciò è parte della nostra identità e non ne dobbiamo fare un dramma. Tale condizione ci ricorda che non siamo né esistiamo per noi stessi, ma per entrare in relazione con quanti ci incontrano e ci sprona ad essere propositivi, soprattutto con le popolazioni e le fedi che abitano i nostri territori, cristiani, musulmani, ebrei e drusi.
Siamo la Chiesa madre. È madre colei che genera. Parafrasando un famoso detto, potremmo dire: Semel mater, semper mater. Si genera continuamente vita in ogni atto e gesto di dono, di oblazione e di intercessione. Una madre non tiene mai nulla per sé, ma vive per colui che ha generato. Sia così dunque la nostra Chiesa: non ripiegata su di sé e sulle sue ferite e mai dimentica che siamo fatti per la vita eterna. Solo così potremo essere fruttuosamente anche Chiesa capace di intercedere, di porre l’altro al centro della propria attenzione, desiderosa di dire sempre una parola di speranza e di consolazione anche nelle circostanze più difficili, decisa nel difendere i diritti di Dio e dell’uomo, attenta ai più bisognosi, impegnata a costruire una comunità solidale. Ci accorgeremo, allora, che proprio ponendo lo sguardo verso il Cielo e oltre noi stessi, senza accorgercene, ritroveremo anche senso, slancio, passione ed energia per la nostra casa.
“Non avevano ancora compreso la Scrittura” (Gv 20,9). La nostra Chiesa è chiamata per prima a vivere alla luce della Parola di Dio che, insieme ai Sacramenti, deve nutrire non solo la nostra fede, ma la vita tutta. La comprensione della Scrittura cambia la vita e la orienta, apre il cuore. Nella Parola di Dio ritroviamo sostegno, senso e motivazione al nostro servizio ecclesiale. È la Parola di Dio che orienta il servizio pastorale, e non il contrario.
Il Vangelo parla di pietra ribaltata. Anche se sono tanti i problemi e le difficoltà che ci affliggono, vogliamo annunciare che nulla ci tiene chiusi nei nostri sepolcri, che siamo Chiesa viva, che nessun macigno ci ferma o ostacola. Il Vangelo ci invita ad aprirci, a guardare oltre e correre, come le donne e i discepoli, ad annunciare che non c’è niente di più bello che vivere per il Vangelo di Cristo.
Vogliamo, allora, essere costantemente in movimento dietro a Gesù, senza smettere di correre, senza chiuderci nelle nostre comodità… la Chiesa non vive di rimpianti per quello che era ieri e non si perde in continue analisi per chiedersi come deve essere oggi, ma vive il presente con serenità e senza paura. Se vogliamo seguire Gesù dobbiamo essere in movimento con Lui. Il nostro costante lamentarci per la situazione, per i problemi che dobbiamo affrontare, la nostra stanchezza, forse sono comprensibili in questo frangente, ma sono comunque un ostacolo al nostro camminare dietro al Risorto.
E infine vogliamo camminare insieme. Nessuna persona, nessun gruppo, nessuna istituzione ha tutto ciò che serve alla Chiesa, ma allo stesso tempo ciascuno è necessario. Solo insieme possiamo sostenerci a vicenda. Ognuno con il proprio compito, la propria funzione, il proprio servizio, la propria identità, ma tutti insieme al servizio del Regno.
Affidiamo questo nuovo Ministero alla Vergine Santissima, donna forte e integra, che sta ai piedi della Croce, ma anche Vergine della gioia per l'incontro col Cristo risorto. Sul suo esempio possiamo resistere nella prova e, grazie all'azione dello Spirito, vivere fino in fondo la gioia di sentirci sempre amati da Dio.
+ Pierbattista