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Omelia di mons. Pizzaballa per la Solennità di Maria, Madre di Dio e la Giornata mondiale della pace 2019

Omelia di mons. Pizzaballa per la Solennità di Maria, Madre di Dio e la Giornata mondiale della pace 2019

1 gennaio 2019

Maria, Madre di Dio – Giornata mondiale della pace

L’azione politica e il Regno di Dio

Fratelli e sorelle carissimi,

Siamo così giunti anche quest’anno a questo importante appuntamento: l’inizio di un nuovo anno, la contemplazione del mistero di Dio che si rende fragile e piccolo, del creatore che si fa figlio. Oggi celebriamo la maternità di Maria e in lei quella di ogni donna e madre. Sarebbe importante fermarsi a contemplare e celebrare il mistero della maternità di Maria, e contemplare il mistero della vita che passa attraverso l’amore di ogni donna.

Ma oggi si celebra anche la giornata mondiale della pace. Facendo un’eccezione alla regola, questa volta ci discostiamo un po’ dalle letture appena proclamate e dalla celebrazione liturgica odierna e cercheremo di fermarci sul significato della giornata mondiale della pace, tenendo presente quanto ci ha suggerito il Santo Padre.

Il messaggio di Pace di quest’anno di Papa Francesco si concentra sull’azione politica e sulla responsabilità dei politici. Non mi interessa in questa sede cominciare a fare digressioni di carattere politico. Non è il contesto e nemmeno penso che servano. Ma vogliamo comunque accennare al legame che esiste tra il Regno di Dio e l’azione politica.

Pochi giorni fa, a Natale, abbiamo affermato come la nascita del Signore nelle nostre città, nei nostri ambienti di vita debba accendere dentro di noi una sorta di “passione politica”, suscitare, cioè la responsabilità di una cura per la città e la terra che abitiamo. Non per possederla o occuparla, ma per trasformarla da semplice agglomerato urbano al servizio di privati e personali interessi, in spazio e luogo di esperienza di comunione e di pace, di relazione e di condivisione. Il Signore, nascendo tra noi, ha posto sulla terra l’inizio del Regno e le nostre città sono il luogo nel quale il Cristiano costruisce con la sua azione il Regno di Dio. Spesso il Regno viene troppo alla svelta identificato dalla teologia e da noi stessi come il proprio spazio ecclesiale o con Cristo stesso. Ciò non è escluso, certamente. Il Regno tuttavia è molto di più. Non è una società già perfettamente costruita, ma una realtà che si fa strada lentamente e che non cesserà mai di essere in costruzione, perché sussiste nella relazione tra gli uomini, nelle loro città.

Gesù svela il senso del Regno poco alla volta, attraverso i segni da esso compiuti, il suo nuovo modo di parlare, il suo nuovo modo di relazionarsi, che suscita meraviglia in tutti, soprattutto quando rivolge la sua attenzione ai piccoli e agli esclusi. E la prima comunità cristiana di Gerusalemme allarga e in un certo senso completa il senso del Regno iniziato da Gesù: il superamento delle frontiere linguistiche e culturali (At 2,1-13), la riorganizzazione e lo scambio dei beni (At 4,34-35) sono la manifestazione di un nuovo modello di vita nella città e danno vita poco alla volta a un mutamento del modello sociale di quel tempo.

Il Regno, in conclusione, è tutto ciò che da espressione alla grande novità cristiana non solo a livello personale, ma anche sociale: dignità della persona; relazioni basate su libertà e responsabilità civile, culturale e religiosa; uguaglianza, condivisione, comunione, solidarietà; costruire il Regno è sapere rinunciare ai propri interessi in vista di un bene maggiore e comune; costruire il Regno è riuscire a creare senso di appartenenza e di collettività; arginare le forze di morte e divisone che in ogni collettività esistono, ma al contrario impegnarsi caparbiamente a costruire legami di fiducia; sapere dare sempre e in ogni circostanza speranza e voglia di ricominciare laddove la speranza è ferita; saper coinvolgere e lasciarsi coinvolgere; costruire il Regno è servire la giustizia che è espressione della più alta forma di civiltà e rifiutare ogni compromesso che ferisca la giustizia e la verità; costruire il Regno è imparare a perdonare e a ricostruire daccapo sulle rovine delle nostre miserie… In una parola: Pace, intesa come frutto di relazioni integre e libere. Politica, dunque, è tutto ciò che costruisce quella Pace, la difende, regolando e organizzando con quei specifici criteri la vita sociale della città.

Siamo oggi tutti chiamati a fare politica nel senso alto della parola, cioè a difendere la pace nei confronti dei pericoli che sempre la minacciano. Dalle varie forme di egoismi, siano essi nazionali o particolari, di gruppi, di componenti sociali, religiosi o etnici, di comunità ecclesiali o politiche. Il pericolo della violenza di chi si sente forte e invincibile o di chi reagisce con violenza perché disperato e non riconosciuto nei suoi diritti fondamentali. Il pericolo di non credere più a relazioni fondate sulla giustizia, al dialogo e alla trattativa. Il pericolo di non credere che sia ancora possibile una vita senza sopraffazioni e interessi particolari, che non sia possibile credere ancora nella sincerità dell’uomo.

Nel contesto particolare in cui ci troviamo, nell’ambito della nostra diocesi e attorno a noi, tutto questo sembra proprio utopia e lontano anni luce da ciò che realmente viviamo.

Attorno a noi abbiamo assistito a tragedie che mai abbiamo pensato potessero compiersi ancora nel nostro secolo. Ma anche nel nostro territorio continuiamo ad assistere ad un lento e continuo e non meno pericoloso degrado e sgretolamento dei legami a tutti i livelli della società, del legame politico e della fiducia sociale. Anni di trattative fallite, progetti di pace annunciati e mai realizzati, iniziative sociali avviate e mai concluse, economia stagnante… potremmo continuare a lungo con la litania dei problemi irrisolti. Il conflitto, inoltre, è diventato parte del nostro sistema di vita e del nostro modo di pensare: negli spostamenti, nell’organizzazione di qualsiasi iniziativa, in tutto ciò che facciamo, insomma.

Queste situazioni immutabili da tempo, ci hanno reso forse un po’ cinici e increduli che qui, nella nostra città, a Gerusalemme, in Terra Santa, sia ancora possibile costruire il Regno. Quante volte ci diciamo ironizzando ma non troppo: “Si, la pace verrà, ma forse dopo la venuta del Messia”.

Se tuttavia accettassimo questo atteggiamento come parte del nostro vero modo di pensare e agire, e rinunciassimo a diventare veri politici, cioè artefici e costruttori positivi della nostra città, anche noi saremmo tra coloro che minacciano la pace. Non si tratta di fare grandi cose. Come Gesù, bisogna cominciare dagli ultimi, nelle nostre case e nelle nostre comunità. Nelle nostre scuole, nelle nostre case religiose, nelle nostre relazioni personali. Vogliamo continuare a credere nell’uomo, sempre, nonostante i tanti fallimenti. Questo è certo il primo modo per costruire la pace.

Ma non basta. Dobbiamo anche parlare apertamente e liberamente in difesa della giustizia e della pace e arrivare al cuore dei responsabili delle nostre città e suscitare in essi e in ogni cittadino il desiderio e la passione o forse la nostalgia per il Regno. L’azione per la pace, deve essere accompagnata dall’annuncio esplicito del nostro impegno per essa.

Nonostante le tante delusioni, bisogna incoraggiare quanti desiderano dedicarsi alla politica. Abbiamo, infatti, ancora bisogno di politici, cioè di persone che vogliano ancora spendersi per la vita della città, capaci di creare aggregazione e sviluppo.

Ma i responsabili politici potrebbero fare ben poco se tutti noi non torniamo sul serio ad occuparci di quella politica alta di cui parlavamo, per non essere tra coloro che parlano di pace, ma hanno il loro cuore altrove, allungando così la lista di quanti fanno retorica.

Non possiamo farcela da soli. Per questo siamo qui oggi, per chiedere alla Madre Santissima e al Dio-con-noi di sostenerci. Abbiamo bisogno di rivolgere il nostro sguardo al bimbo di Betlemme, perché la forza e il coraggio per diventare costruttori della nostra città, passa proprio dalla contemplazione di quel fragile bambino di Betlemme, dall’amore ai piccoli. Sono i bambini, infatti, a ravvivare in qualsiasi adulto il sorriso e l’amore che spesso è nascosto in ciascuno di noi e a estrarre da noi una forza che mai avremmo pensato di avere. Ogni genitore ne ha fatto esperienza.

Possa allora il bambino di Betlemme, insieme alla Sua Madre e nostra, continuare a ravvivare in ciascuno di noi, nella nostra comunità ecclesiale, quell’amore che solo può dare forza e coraggio di ricominciare, a costruire sempre, senza stancarsi mai, qui, nella nostra comunità, la Pace del Regno!

Buon Anno!

+Pierbattista