Carissime sorelle clarisse,
Carissimi fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!
La liturgia della parola di oggi ci introduce bene alla comprensione della celebrazione odierna e ci fa comprendere meglio la figura di S. Chiara di Assisi. Il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni ci accompagna in questa riflessione.
Nel brano del Vangelo, Gesù usa l’immagine della vite e dei tralci. È un’immagine potente: noi siamo innestati nella vita della Trinità come un tralcio è innestato alla vite. Come un’unica linfa, un’unica vita scorre tra la vite e il tralcio, così un’unica linfa, un’unica vita circola tra Dio e noi. Gesù desidera che noi rimaniamo in questa unione profonda.
“Rimanere” è la parola chiave del Vangelo che abbiamo ascoltato, ma è anche la chiave della vita e della vocazione di ciascuno di noi, e su questa parola vorrei soffermarmi.
Rimanere dove?
Prima di tutto, ovviamente, in Cristo. Gesù, il Signore, è il primo Luogo nel quale il cuore deve fermarsi, rimanere, riposare.
Se ci pensiamo bene, la vita religiosa non è altro che questo: fare della relazione con Gesù il centro della propria vita, una relazione esclusiva, e rimanere in essa. Nella società e nella Chiesa del tempo di Francesco e Chiara d’Assisi, così come nella società e nella Chiesa del nostro tempo, la vita religiosa ha questa missione da testimoniare: si può vivere solo di Vangelo, si può decidere di rimanere nella relazione esclusiva con Cristo ed essere felici. Relazione esclusiva, che escluda cioè qualsiasi altra opzione di vita, qualsiasi altra relazione o progetto che non sia in sintonia con il Vangelo di Cristo. Non fu semplice per Francesco, e soprattutto per Chiara d’Assisi. La sua lotta per il privilegio della povertà era fondata proprio su questo: fare comprendere alla società e alla Chiesa del tempo, preoccupata – oggi diremmo - per la sostenibilità del loro progetto di vita, che anche per loro, donne e consacrate, era possibile vivere confidando solo sul Vangelo, senza nient’altro. Il privilegio della povertà, dunque, non era altro che l’espressione concreta del loro rimanere esclusivo nella relazione con Cristo, relazione che escludesse qualsiasi altra attenzione o preoccupazione. Gli scritti e in particolare le lettere di S. Chiara evidenziano continuamente questo aspetto e questo legame centrale nell’esperienza religiosa di Chiara d’Assisi: la povertà è necessaria, perché la relazione con lo Sposo sia libera, assoluta, completa.
Quante volte Chiara d’Assisi parla di vedere, di porre lo sguardo nel Mistero di Cristo e di rimanere lì, con lo sguardo del cuore fisso in Lui. È questo il segreto della perseveranza, di cui Chiara parla spesso: tenere fisso lo sguardo su ciò che si ama, anche quando per un attimo scompare, perché la vita non diventi uno sforzo, un volontarismo (al quale spesso siamo tentati di ridurre la fede cristiana), ma sia un rimanere nell’amore.
Chiediamoci, allora, su cosa posiamo oggi noi il nostro sguardo. A cosa o a chi guardiamo.
In questi tempi turbolenti e ricchi di tanta confusione sociale, politica e anche religiosa, siamo forse chiamati a fermarci per chiederci dove in questo tempo si posa il nostro sguardo, dove il nostro cuore riposa, in quale vita abbiamo deciso di rimanere, cosa da senso e colore al nostro vivere.
L’altro “rimanere” è legato al primo: le sorelle.
C’è sempre il rischio di fare della relazione con Gesù qualcosa di emozionale, o astratto, o solamente intimo e personale, in ogni caso avulso dalla vita reale. Si rischia spesso di tenere separata la vita spirituale e la relazione con Gesù, dalla vita reale quotidiana. Rimanere in Gesù è una cosa. Rimanere nella vita reale è un’altra.
Chiara è pienamente consapevole di questo rischio, che è comune a tutti, in tutti i tempi, e che è reale anche nella Chiesa di oggi, il rischio di non riuscire a fare unità tra fede e vita, tra la relazione con Cristo e la vita del mondo.
Per Chiara d’Assisi, rimanere in Cristo, l’amore a Cristo, deve avere un’espressione visibile e concreta: l’amore alle sorelle. “Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione” (Regola X, FF2810). L’amore a Cristo si nutre e si ravviva in una concreta vita fraterna, in un continuo scambio di vita tra le sorelle. Insieme a “rimanere”, un altro verbo centrale nella spiritualità francescana è “restituire”: restituire nella vita e con la vita ciò che abbiamo ricevuto da Cristo. Per Chiara d’Assisi, dunque, amare le sorelle, fare unità, vivere la fraternità, è il primo modo per restituire a Cristo quanto da Lui è stato donato, è il primo modo – per restare al nostro tema – per rimanere nell’amore di Cristo. Uno sguardo libero verso il Signore permette anche uno sguardo libero verso le sorelle. Il “rimanere” di cui stiamo parlando, inoltre, non è uno sforzo, un semplice atto di volontà, ma un desiderio profondo che si alimenta nella preghiera, che è il cuore della vita delle figlie di S. Chiara d’Assisi. Non è questo un atteggiamento sempre naturale al cuore dell’uomo, al cuore malato dell’uomo, il cui sguardo si lascia attirare dall’apparenza, dalla vanità della vita. E qui si inserisce allora il cammino penitenziale di Chiara e delle sue sorelle, della sua vita di conversione e di ascesi. Una vita penitenziale, come quella di Francesco, fatta di passaggi pasquali, di accoglienza della debolezza e della realtà, di presa di coscienza del peccato, un lasciarsi guidare dal Signore, per arrivare semplicemente ad avere un cuore povero, un cuore capace di vedere Lui, Cristo, e di essere attente allo Spirito.
Vi è infine un altro “rimanere”. Rimanere nella Chiesa.
Come per Francesco d’Assisi, anche per Chiara, la relazione, l’obbedienza e la piena comunione con la Chiesa è centrale. Una relazione di obbedienza e piena comunione, ma anche libera e qualche volta anche dialettica. La sua lotta per il privilegio della povertà ne è testimonianza. Ha lottato contro il convincimento comune che non fosse possibile, per le Povere Dame di San Damiano, di poter vivere senza rendite economiche, ma confidando solo sulla Provvidenza divina. Nonostante tutto, era comunque necessario ottenere il “si” di quella Chiesa, inizialmente così recalcitrante all’idea. Non bastava averne la certezza interiore che ciò fosse possibile, non bastava brandire il Vangelo per affermare la propria convinzione. Era necessario passare da Pietro. Solo così il seme di quella forma di vita poteva avere la conferma di essere veramente frutto della volontà di Dio e non solamente un desiderio o un’intuizione umana. Solo nella chiesa quel seme può trasformarsi in un albero rigoglioso, crescere e fare frutto nel tempo.
La forma comunitaria della vita clariana non si poteva e non si può sostenere senza il rapporto con la più grande comunità ecclesiale. Ma allo stesso tempo, la Chiesa vedeva e vede nella forma di vita delle Sorelle Povere di S. Damiano un monito e un richiamo a fare propria la libertà che il Vangelo vissuto integralmente può dare. Libertà da ogni forma di condizionamento e di paura.
In una società travagliata e sempre più frammentata e sola, in una Chiesa in profondo cambiamento e forse anche un po’ spaventata da un futuro incerto e che si sente a volte minacciata, la testimonianza di Chiara d’Assisi è una testimonianza di libertà e fiducia in Dio, anche nelle circostanze più problematiche, anche di fronte alle minacce più concrete e reali. Penso, ad esempio, alla minaccia di distruzione del monastero e della città di Assisi da parte dei mercenari saraceni: “Ed essa le confortava che non temessero […] ma armate di fede ricorressero a Gesù Cristo. E giacendo santa Chiara sulla paglia, inferma, si fece portare una cassettina d’avorio dove era il Santo Corpo di Cristo consacrato (FF 3201)”. A quanti venivano per minacciare e distruggere, essa rispose con il SSmo Sacramento, senza altra difesa, insomma, se non confidare solamente ed esclusivamente in Cristo.
Ancora oggi la Chiesa attende da voi, carissime sorelle, di ricevere questo richiamo, di vedere in voi la libertà di chi vive solo di Vangelo, che non ha altri interessi se non rimanere nell’amore di Cristo, che confida solo nella Provvidenza, più che sulle proprie forze, che non teme le minacce, o i cambiamenti epocali o le persecuzioni, ma rimane ancorata nell’amore a Cristo, che da senso ad ogni cosa, e ci rende liberi e felici e ci dona pace.
Chiediamo per l’intercessione di Chiara la grazia di rimanere dentro una vita di conversione, che tiene fisso lo sguardo sul dono che abbiamo ricevuto e su Colui che ce l’ha donato, Cristo.
Anche a noi sia dato di gustare la segreta dolcezza dentro le cose della vita, anche dentro quelle più amare. Ogni luogo della nostra vita sia come quel campo che nasconde la segreta dolcezza che il Signore riserva a coloro che lo amano.
A Lode di Cristo e della Madre Santa Chiara. Amen