Logo
Donare ora
Omelia Giovedì Santo 2020

Omelia Messa in Cena Domini

Santo Sepolcro - Gerusalemme, 9 aprile 2020

Fratelli e sorelle carissimi,

Il Signore vi dia pace!

Ci ritroviamo, all’inizio di questo strano Triduo Pasquale, per celebrare qui, nel Luogo più sacro, gli eventi della nostra salvezza. Le circostanze sono tristi. Non vi è nulla di esternamente festoso oggi. Ce lo siamo già detti diverse volte in questi giorni che è strano celebrare in questo modo. Ma forse, in queste nostre semi-clandestine celebrazioni, proprio perché prive di ingressi trionfali e senza cerimonie solenni e affollate, c’è qualcosa di nuovo che possiamo imparare. Uscendo dalle tradizioni abituali, forse potremo più facilmente cogliere una parola, una riflessione, un insegnamento, che in momenti normali non avrebbero probabilmente attirato la nostra attenzione.

Lasciamoci guidare dalla Parola che la liturgia ci propone e chiediamo allo Spirito di illuminarci in questo Cammino Pasquale che sta per iniziare.

Nella lettura dell’Esodo, vediamo che il sangue dell’agnello segnato sulle case diventerà un segno di salvezza per gli israeliti che vi abitano. Quel popolo di schiavi, umanamente impossibilitato a combattere l’impareggiabile potenza del Faraone, è stato liberato dalla sua schiavitù per intervento divino. Non un angelo, non un inviato, infatti, ma il Signore stesso è passato in mezzo a loro. “In quella notte io passerò per la terra d’Egitto … Io sono il Signore! (Es. 12,12)”. Il passaggio del Signore non lascia nulla di immutato e richiede una decisione, di accoglienza o di rifiuto.

Anche oggi il Signore passa in mezzo a noi, e anche oggi ci viene chiesto di prendere la stessa posizione di accoglienza o di rifiuto. Spetta a noi decidere se vogliamo essere tra i segnati dal sangue dell’Agnello oppure no. Se vogliamo uscire dal nostro Egitto e incamminarci verso la meta che il Signore ci indica, oppure se vogliamo restare “seduti presso la pentola della carne” (Es. 16,3).

E il Vangelo ci dice chiaramente quale sia la meta. È Gesù stesso ad indicarcela ed è ancora Lui che la raggiungerà per primo, per prepararci un posto (Gv 14,2). Tutto il Vangelo di Giovanni è percorso da questa domanda: da dove viene quest’uomo e dove va? È il tema dell’identità di Gesù.

Se la fanno tutti quelli che lo incontrano e si chiedono non solo da dove viene lui, ma anche da dove viene ciò che lui fa, ciò che lui possiede. Ci si chiede dove abita (1,38), da dove viene l’acqua trasformata in vino (2,9). Nelle domeniche di quaresima abbiamo poi visto nel dialogo con la samaritana da dove attinge la sua acqua viva (4,11). Il cieco guarito afferma che è strano che non si sappia da dove viene, visto che gli ha aperto gli occhi (9,30) … Per ultimo, se lo chiede anche chiede Pilato: “Di dove sei?” (19,9).

L’unico che sa veramente da dove viene e dove va è Gesù stesso e lo ripete più e più volte (7,28; 8,14, 13,3). E afferma anche che dove sta andando lui, per ora nessuno può seguirlo (8,21.22; 13,33; 13,36) fino a quando lui avrà aperto una via (14,4) e preparato un posto (14,2). Ed ha una certezza assoluta: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io” (17,24).

Ebbene, questo mistero ci viene svelato proprio nel Vangelo di oggi: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, … sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava” (13,1.3). La meta verso quale Gesù sta andando e che prepara anche per noi, qui è rivelata pienamente: Lui viene dal Padre e ad esso ritorna, e così vuole che sia anche per noi. E come si arriva a questa meta? “Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto” (13,4-5).

Il gesto che Gesù compie è il gesto del passaggio dalla terra al cielo, dal mondo al Padre, da ciò che finisce all’eterno. Per mostrare la via che porta al Padre, Gesù lava i piedi ai suoi.

Ogni gesto d’amore, compiuto nello stile della lavanda dei piedi, vissuto nel servizio, nell’amore gratuito, nel dono totale di sé, sarà un gesto di vita vera, e quindi infinito: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (13,1). Sino alla fine, sino al compimento, senza limiti o condizioni. Gesù si alza da tavola per lavare i piedi ai suoi proprio quando sa che il “il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo” (13,2): vuole lavare i piedi anche al traditore.

La reazione di Pietro, che di fronte a questo gesto si scandalizza e si ritrae (13,6), dice tutta la distanza tra il pensare di Dio e il nostro: noi pensiamo che è glorioso, eterno, solo ciò che è legato all’idea di potere. E pensiamo che il servire sia qualcosa che sminuisce la nostra dignità. Per Gesù non è così: è eterno, passa nel mondo del Padre l’umile servizio di chi si mette ai piedi dell’altro, si spoglia di sé, della propria autonomia, autosufficienza e presunzione, e riconosce e celebra il dono che l'altro è, attraverso la concretezza di gesti umili e quotidiani. Il servizio crea comunione, fa uscire dalla schiavitù del proprio egoismo e fa rinascere in una unità di vita che non può morire. Questo stile di relazione prefigura lo stile di Dio. Tutto ciò che in noi è così, fa già parte della Vita trinitaria.

Pietro ci mostra quanto non sia affatto scontato farsi amare in questo modo, quanto sia difficile accettare il proprio bisogno di essere amati così: non è possibile se non a patto di riconoscere, umilmente, il proprio peccato. Chi non sa di avere i piedi sporchi, non accetta di farseli lavare. “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (13,15): Gesù oggi ci invita a seguirlo, a svestire i panni dell’autosufficienza, della presunzione di farcela da soli, e a riconoscerci peccatori e bisognosi di perdono; ci chiede di indossare il grembiule dell’umile servizio e del dono di sé. Lasciamoci condurre da Gesù verso il Padre, dunque, e riconosciamo di avere bisogno di farci lavare i piedi, di essere purificati.

Si sale al Padre con il cuore purificato, ma non separato. Il nostro vero patrimonio lo portiamo con noi. Niente può sciogliere i nostri vincoli umani, le nostre relazioni. Persino i tradimenti, se riconosciuti e assunti, non sono esclusi da questo cammino di salvezza.

In questi giorni siamo colpiti e feriti proprio in ciò che ci è più caro: le nostre relazioni. Si direbbe che il Signore ce le abbia tolte, per potercele poi restituire purificate.

Forse il Signore vuole purificarci da ciò che di  possessivo e violento c'è nelle nostre relazioni, vuole dirci che possiamo scegliere di sostenerci a vicenda oppure di essere egoisti, pensando solo a noi stessi. L’isolamento e la solitudine di questi giorni possono insegnarci che è possibile cambiare strada, iniziando un percorso di conversione, inteso come un ritorno ad ascoltare la Parola del Signore. La maggioranza di noi è costretta a rimanere chiusa nelle proprie case, senza la possibilità di partecipare alla Celebrazione Eucaristica, cuore della Chiesa e Sacramento di guarigione. In questo strano e doloroso momento di digiuno, possiamo forse leggere una chiamata a ripensare e purificare le nostre relazioni familiari, a rifondare la Chiesa domestica alla luce di questo Vangelo, che ci indica nel gesto di lavarsi i piedi il modo per guarire i nostri rapporti, la via per andare al Padre.

L’Eucarestia è la relazione che si fa sacramento, è il consegnarsi di Cristo che, dopo avere sconfitto la morte, dona nuova vita. Nel Pane Eucaristico si inaugura l’inizio di una presenza nuova di Cristo tra noi. E oggi la Parola invita la Chiesa – cioè noi – a ricomporsi in unità nell’Eucarestia, centro della vita, delle speranze, dell’impegno della Chiesa stessa. Essa porta nel suo DNA questa chiamata ad essere "eucaristia", facendo gratuito dono di sé. In questo momento non possiamo farlo insieme fisicamente come comunità. Facciamolo come Chiesa domestica, in famiglia, per poi ricominciare con passione e determinazione il nostro cammino ecclesiale con uno spirito rinnovato.

La pagina del Vangelo proclamata oggi ci invita a ripensare con coraggio su cosa costruiamo oggi le nostre relazioni personali, familiari, ecclesiali, sociali. Non ci troviamo alla fine del mondo. Ci troviamo, piuttosto, ad un passaggio di una storia che ha ancora un lungo cammino di fronte a sé. Il domani, dunque, che pure ci sarà, dipenderà dalla novità delle relazioni che iniziamo a costruire ora. La morte, ogni morte, non è vinta semplicemente dalla Vita, ma dall’Amore. Sarebbe riduttivo leggere questo momento di limitazioni, questa battaglia comune solo come tentativo di salvare le nostre vite. Questa è una battaglia che prima o poi perderemo. Siamo piuttosto chiamati ad impegnarci per creare un nuovo mondo, che ha nel Risorto il suo invincibile inizio e nell’amore gratuito e libero il suo modello. In altre parole, sapremo creare un mondo nuovo nella misura in cui l’Eucarestia davvero darà forma alle nostre comunità, nello spezzare il pane innanzitutto; e poi nel far nascere relazioni fondate sull'interesse per la persona, sulla giustizia, su modelli sociali inclusivi e non esclusivi, su forme di sviluppo equilibrate e attente al bene comune.

Non sappiamo cosa e chi incontreremo in questo cammino e dove, nella nostra vita, ci porterà questa strada indicata da Gesù. Ma si potrà essere certi che nessun “dove”, nessun luogo in cui la vita ci condurrà, sarà più “fuori”, inutile, lontano da Dio, se accoglieremo la consegna che oggi Gesù ci fa: “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (13,14). “…che vi amiate gli uni gli altri” (15,17). Ogni cosa, ogni esperienza vissuta in questo modo diventerà un ritorno al Padre.

Prima della lavanda dei piedi, Gesù aveva affermato che nessuno poteva ancora seguirlo. Ma dopo aver mostrato come si ama, Gesù può affermare: “Ora conoscete la via” (14,4).

Anche noi, oggi, riprendiamo un cammino, e di questo cammino ora conosciamo la via.

Gerusalemme, 9 aprile 2020

†Pierbattista Pizzaballa
Amministratore Apostolico