Omelia dedicazione Altare
Kiryat Yearim, 31 agosto 2024
1Chr 13,6-8; 16, 1-2.4.8-9.34-36; Heb 9,11-24; Luke 1,26-38
Carissimi fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!
Ringraziamo insieme il Signore per questo bel momento di fraternità, di chiesa e di gioia. La riapertura di una chiesa, infatti, dopo un lungo tempo di chiusura, la dedicazione di un nuovo altare, la partecipazione dei diversi fedeli della nostra unica chiesa di Terra Santa a questo evento, sono un’indicazione tangibile di un rinnovato impegno, esprimono il desiderio di continuare la propria missione in Terra Santa, sono segno di ripartenza, di rinascita, in un certo senso. È dunque un momento di grazia, di sereno sguardo verso il futuro per la vita della nostra Chiesa e per la nostra gente. In questo contesto di guerra, dove tutto sembra esprimere desiderio di chiusura e di fine, mi pare che si possa dire che qui oggi, in questo luogo, anche grazie alle nostre sorelle di San Giuseppe dell’apparizione, la nostra Chiesa rinnova il suo “si”, unendolo a quello di Maria, arca dell’Alleanza, e rinnova la sua fiducia nell’opera di Dio, Signore della storia.
Siamo, infatti, in un luogo carico di storia, di eventi biblici significativi, che ci legano all’antico Testamento e ad eventi importanti della storia della salvezza. Le sorelle prima della messa ci hanno raccontato anche la storia recente di questo luogo santo, che le ha portate qui su questo monte e dell’inizio e dello sviluppo della loro presenza su questo monte.
Mi limiterò, dunque, a riflettere su un’unica parola, che in questo luogo acquista una speciale concretezza, e che è centrale in tutta la storia dell’Antico e del Nuovo Testamento: Alleanza.
Nella prima lettura abbiamo letto l’episodio dell’introduzione dell’Arca su questo monte. Come abbiamo visto, è un momento solenne, decisivo per la storia della rivelazione. L’Arca è il segno tangibile dell’alleanza tra Dio e il Suo popolo, che contiene i segni che hanno costellato il cammino del popolo nel deserto, come la manna, e con i quali Dio ha stretto l’alleanza con Mosè e il suo popolo sul monte Sinai, come le tavole della legge.
L’arca, dunque, contiene tutto ciò che è costitutivo per l’identità dell’Israele biblico, l’alleanza appunto, questo speciale patto tra Dio e il Suo popolo, iniziato con Abramo e via via continuamente rinnovato. L’arca è il segno non solo della presenza di Dio in mezzo al popolo, ma anche della Sua fedeltà all’alleanza, messa spesso a dura prova dalle tante cadute e deviazioni continuamente compiute dal Suo popolo.
La storia dell’alleanza, infatti, è una storia di fedeltà, di attesa, di pazienza, di gratuità e di amore. Nonostante i piccoli e grandi tradimenti del popolo, infatti, nonostante le continue rotture del patto, Dio resta fedele e non cessa di rinnovare il Suo impegno ad accompagnare il Suo popolo con la propria presenza, di cui l’arca è segno. In futuro quel segno si trasferirà nel tempio di Gerusalemme, che diventerà il luogo unico della presenza di Dio.
Lungo la storia biblica, insomma, Dio non cesserà di inviare profeti per richiamare tutti alla fedeltà all’alleanza, non cesserà anche di gridare, a volte, verso il suo popolo, ma non interromperà mai quel patto, non verrà mai meno all’impegno preso. Le infedeltà del popolo non spengono l’amore di Dio per il suo popolo e per l’umanità. Quel patto, infatti, non è un contratto legale come un altro. Esso è parte di un unico grandioso disegno divino, che dalla creazione fino ad oggi esprime il desiderio di unità e amore di Dio creatore con l’uomo e con tutto il creato.
Dio, dunque, è fedele. Egli non permetterà né che le infedeltà del popolo, né che i tanti drammi storici raccontati dalla bibbia cancellino quel patto. La fedeltà di Dio all’alleanza, infatti, manifesta in modo chiaro e potente la signoria di Dio sulla storia, che è sì storia di uomini, ma anche storia di Dio, il quale nei modi suoi propri interviene e non permette che il patto, cioè il suo desiderio di unità e relazione con l’uomo venga annullato dal nostro peccato.
Tale desiderio di relazione e unità, trova per noi compimento in Cristo. In lui la presenza di Dio tra noi non è più un segno, un simbolo, ma è reale. Lui stesso si fa presente, e Lui stesso, rinnova con la Pasqua un’alleanza universale. “Egli è mediatore di un’alleanza nuova” (Eb. 9,15), come abbiamo ascoltato nella seconda lettura.
Questa nuova alleanza è stata resa possibile dal “si” di Maria di Nazareth. La sua accettazione del desiderio divino ha reso possibile l’intervento definitivo di Dio nella storia, l’incarnazione. Maria arca dell’alleanza, dunque, è colei che ha accolto Cristo nel suo grembo, diventando luogo della presenza di Dio. Con la sua obbedienza al Padre, la Vergine di Nazareth ha espresso la sua fiducia nell’opera di Dio, nella Sua presenza provvidente, senza lasciarsi spaventare dalle circostanze del momento, ma affidandosi completamente a Dio. La sua obbedienza ha dato concretezza alle parole dell’angelo: “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
Maria ci insegna ad avere fede. Credere è riconoscere che questa mano invisibile di Dio ancora opera e arriva proprio lì dove l’uomo non può. Credere significa anche stare in questa difficile e drammatica situazione di oggi con speranza cristiana. La difficoltà del momento presente, questa guerra che sembra spazzare via ogni speranza e annientare la fiducia nell’uomo, il disorientamento che ci accompagna, non annullino la nostra ferma certezza che Dio non abbandona chi lo ama, che non siamo soli, e che Dio conduce la storia.
Maria ci insegna anche ad entrare nel tempo della gestazione, tempo di pazienza, di silenzio e di attesa. Le cose dell’uomo si fanno in un attimo, le cose di Dio hanno bisogno di tempo e avvengono piano: perché ciò che è nuovo nasca è necessaria una lunga gestazione. Noi non sappiamo più attendere, la fatica dell’attesa di una soluzione immediata ci ha stancati. Vogliamo controllare gli eventi, che invece ci sfuggono e ci disorientano. L’uomo consuma il suo tempo in modo vorace, mentre il tempo di Dio si dispiega sulle lunghe distanze: scava in profondità, mette fondamenta profonde.
Mi piace pensare che la gravidanza di Maria si sia nutrita ugualmente di pazienza, di fede, di silenzio, di ascolto, di preghiera, di cammino. E ha portato Maria a vedere e a riconoscere intorno a sé i luoghi e gli eventi dove la stessa mano di Dio ha fatto qualcosa di nuovo: nella cugina Elisabetta (Lc 1,39-45), nel suo sposo Giuseppe (Mt 1,18-25).
Noi oggi non comprendiamo tutto, non siamo in grado di interpretare adeguatamente quanto sta accadendo e questo è forse uno degli elementi che ci disorienta maggiormente: non essere capaci di decifrare e decodificare il drammatico momento presente, di possedere la chiave interpretativa che ci permetta di controllare gli avvenimenti attuali, il tempo presente, e la deriva di violenza senza fine, di ingiustizia, di dolore. Ma la certezza che niente ci separerà dall’amore di Dio, la sicurezza che ci deriva dalla sua fedeltà, non possono venir meno, e niente, assolutamente nulla e nessuno dovrà mai separarci dall’amore di Dio. La dinamica di un Dio che desidera intervenire nella vita dell’uomo è la dinamica della fede, della nostra quotidiana relazione con Dio, che nemmeno il dramma del momento presente deve mettere in dubbio. La sfiducia, la mancanza di speranza sono anch’esse una forma di infedeltà all’alleanza. Noi oggi qui vogliamo invece rinnovare la nostra filiale obbedienza a Dio e rinnovare il nostro “si”, la nostra fede nel Signore della storia.
In fondo, senza questa fiducia nell’intervento di Dio, non avremmo avuto santi e sante che privi di risorse di ogni tipo, ricchi solo di fiducia in Dio, hanno dato vita a grandi opere di evangelizzazione e rinascita. Non avremmo avuto persone come Suor Josephine, o “Sister Camomile”, come veniva chiamata, che qui, senza risorse, in mezzo a tante incomprensioni e difficoltà di ogni tipo, partendo dal nulla, è riuscita a realizzare questo luogo che oggi viene riconsacrato e riaperto.
La storia di queste persone, che hanno vissuto tempi non migliori dei nostri (pensiamo ai drammi della Prima guerra mondiale), ci sprona ad avere fiducia nell’opera di Dio e a non ripiegarci sul nostro dolore, ma aprirci con fiducia.
Chiediamo alla Vergine Maria il dono della fiducia nell’opera di Dio in noi e nel mondo. La fiducia in Dio ci darà nuova vita, proprio come quel bambino generato nel grembo della Vergine, proprio come la vita scaturita dal sepolcro. Anche lì: la mano dell’uomo aveva dato la morte, e solo la mano di Dio poteva ridare la vita. E così è accaduto.
Con Maria, allora, affidiamoci nuovamente e con fiducia al progetto di Dio.