4 agosto 2024
XVIII Domenica del Tempo Ordinario B
Gv 6, 24-35
Il capitolo sesto del Vangelo di Giovanni inizia con un dono inaspettato e sorprendente: Gesù sfama la folla con un’abbondanza di pane, e questo pane è per tutti. L’evangelista lo sottolinea: tutti mangiarono fino a saziarsi, e si riempirono dodici canestri con il pane avanzato (Gv 6, 12-13)
Questa logica, che parte dal dono, è una logica che troviamo in ogni capitolo del Vangelo di Giovanni, in ognuna delle grandi scene che si trovano nel quarto Vangelo: dalle nozze di Cana all’acqua viva della Samaritana, dal cieco nato a Lazzaro. Per tutti in principio sta il dono, la grazia donata senza merito a tutti coloro che Gesù incontra.
In principio, dunque, sta il dono di Dio, e questo è il cuore della nostra fede.
Questo è anche il nostro più grande problema per quanto riguarda la nostra relazione con Dio.
È quello che emerge nel dialogo tra Gesù e Filippo, nel Vangelo di domenica scorsa: Gesù lo provoca, chiedendo dove si potrà comprare il pane per sfamare tanta gente, e Filippo risponde rimanendo dentro questa logica, questo modo di pensare, ma rivelandone anche l’insufficienza: per sfamare questa folla bisogna andare a comprare il pane, ma anche tanto denaro non basterebbe perché ciascuno ne possa ricevere un pezzo (Gv 6, 5-7).
Ecco, dunque, la logica con cui abitualmente interpretiamo la nostra relazione con Dio: se si vuole qualcosa, lo si deve conquistare o comprare o meritare.
E, se non si riesce ad averlo, in qualche modo la colpa è nostra.
Spesso la nostra vita è ingabbiata dentro questo modo di pensare.
Questa logica, inoltre, a differenza della logica di Dio, non parte dal dono, ma parte da noi, dalle nostre necessità e dai nostri bisogni.
E questa è anche la prima constatazione che troviamo nel Vangelo di oggi: la folla, subito dopo essere stata saziata, cerca Gesù, ma la sua ricerca è motivata solo dal proprio bisogno, dalla propria mancanza: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato e vi siete saziati” (Gv 6,26).
Gli animali cercano solo ciò di cui hanno bisogno. Le persone cercano anche altro, cercano ciò che le fa vivere in pienezza, al di là di ciò che sazia la fame materiale.
Prima del bisogno, dunque, viene il dono, ed è il dono che educa i nostri bisogni: non li sopprime, ma li dilata, ci insegna a non accontentarci di ciò che sazia i nostri appetiti, per accedere ad una relazione che conosce il gusto buono della gratuità e dell’amicizia.
Di fronte a questo orizzonte allargato, di nuovo però scatta il meccanismo del merito e del guadagno: quando Gesù invita a cercare veramente ciò che dona la vita eterna, i suoi interlocutori subito gli chiedono che cosa devono fare (Gv 6, 27-28).
È a questo punto che Gesù rivela che c’è un altro modo di vivere la vita, non partendo da sé e dai propri sforzi, né dai propri meriti, ma, più semplicemente, dalla fede: questa è l’opera di Dio.
È significativo come Gesù pone la questione: noi siamo chiamati a compiere l’opera di Dio, e quest’opera è la nostra fede (Gv 6,29).
Credere è l’opera di Dio perché credendo apriamo a Dio la nostra vita, e questo gli consente di operare in noi ciò che Lui desidera, ovvero la pienezza della nostra vita, la bellezza di una relazione piena con Lui.
Queste due logiche nel Vangelo di oggi sono in qualche modo simboleggiate dalle due sponde del lago (Gv 6,25) e dalla traversata che i discepoli sono chiamati a fare: la fede non è un atto intellettuale, ma un passaggio continuo tra due logiche, tra due scelte: quella che parte dal dono di Dio oppure quella che parte da noi stessi e dalla nostra ricerca; quella che parte dalle nostre opere oppure quella che parte dall’opera di Dio in noi. Quella che si ferma ai nostri piccoli bisogni e quella che si spalanca al desiderio di Dio e alla grandezza del suo cuore.
Chi ascolta la sua Parola può compiere questa traversata e approdare alla sponda dove Dio ci attende per compiere in noi tutta la sua opera.
+ Pierbattista