Magdala 2024
Carissimi Fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!
Quanto stiamo vivendo in questi giorni è una sorta di conflitto spirituale, se si può chiamare così. Da un lato, infatti, ascoltiamo ogni giorno qualcuno dei racconti di risurrezione dei Vangeli, gli incontri con il risorto, le apparizioni, i messaggi e tutto ciò che ha a che fare con la risurrezione di Gesù. Le letture dagli Atti degli Apostoli, che ci accompagneranno lungo tutto il periodo pasquale, inoltre, ci presenteranno i discorsi degli apostoli che accentueranno anch’essi il grande evento della risurrezione, e vedremo lo sbocciare e il crescere delle varie e nuove comunità cristiane. Insomma, la Parola di Dio che ci accompagnerà in questi giorni, sarà una parola di risurrezione, di una vita che rinasce, di comunità che nascono e si espandono.
Dall’altro lato, usciti dalle nostre liturgie e tornati a casa, i discorsi sono solo di guerra, le notizie sono sconfortanti e anche le nostre comunità sembrano oppresse da tanti problemi, più che piene di fermento.
E ci chiediamo tutti come tenere insieme questi due elementi che sembrano essere in contraddizione tra loro, come fare unità nella nostra vita e nelle nostre comunità tra ciò che celebriamo, la Pasqua di risurrezione, e la vita, segnata da così tanto dolore e morte.
In un certo senso vediamo tutto ciò anche nel Vangelo di oggi, la conclusione del Vangelo di Marco. Un brano breve, che condensa i racconti di risurrezione degli altri vangeli in poche frasi, e che ci presenta i due modi di stare di fronte all’evento centrale della nostra fede.
Da un lato vediamo Maria di Magdala, e dall’altro lato ci sonoi discepoli, “quanti erano stati con lui” (Mc 16,10), come li definisce il vangelo, richiamandosi proprio all’inizio dello stesso vangelo, quando Gesù chiamo i suoi “perché stessero con lui” (Mc 3,14).
Questo breve brano ci presenta due modi diversi di stare di fronte al mistero della risurrezione. I discepoli “erano in lutto e in pianto” (Mc 16,10), sono chiusi su se stessi, delusi. Qualcuno forse anche arrabbiato per avere scommesso su un uomo, Gesù, che invece non è stato all’altezza delle loro attese (“Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele” – Lc 24,21). Certamente addolorati. Perché ancora legati a lui da affetto e amore (“Signore, tu lo sai che ti voglio bene” – Gv 21,16), ma comunque confusi e incapaci di alzare lo sguardo e fare il salto della fiducia. Il breve brano ripete per ben tre volte che “non credettero” (Mc 16, 11.13.14).
Dall’altro c’è Maria di Magdala, una donna, e quindi in quanto tale senza diritto di parola nelle assemblee, esclusa da ogni contesto di potere. Per di più con un passato turbolento, poiché Gesù le “aveva scacciato sette demòni” (16,9). Sette demoni indicano un male totale. Uno donna, insomma, che era esclusa da tutto e per di più avvolta nel peccato. Ma era anche la donna salvata da Gesù, al quale si era affezionata con gratitudine, e che non ha mai cessato di cercarlo e di seguirlo. E anche dopo la morte, il suo amore non l’ha fermata. Mentre i discepoli restavano chiusi nel Cenacolo, mentre i due di Emmaus, delusi, si allontanavano da Gerusalemme. Il gruppo degli amici di Gesù, insomma, si disperdeva disorientato (“I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa” – Gv 20,10), chi nel cenacolo chi altrove, “Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro” (Gv 20,11), senza rassegnarsianche di fronte ad un evento così drammatico come la morte, come la scomparsa del corpo, e nemmeno di fronte all’annuncio umanamente inconcepibile della risurrezione. Nulla l’ha fermata. È la forza interiore di una donna, capace di vedere con il cuore e non solo con la carne.
I racconti di risurrezione non sono disincarnati, non ci parlano di una realtà bella e felice nella quale miracolosamente veniamo avvolti.
Il Risorto, infatti, non rassicura i suoi che andrà tutto bene, che non avranno problemi; non dice che è finito il tempo della sofferenza e che d’ora in poi, finalmente, tutto sarà facile.
Il Signore non illude, così come non aveva mai illuso nessuno durante gli anni della sua vita terrena: ai suoi discepoli aveva proposto un cammino esigente, che passava anche per loro, come per Lui, attraverso la croce di una vita donata. Il Signore non illude, perché la sua risurrezione non impone nel mondo una nuova era, un nuovo modo di vivere, ma semplicemente la offre, la propone. E la propone a chi crede che la Pasqua è davvero un cammino di vita, a chi crede che è vero ed eterno solo ciò che muore nel dono di sé e rimane vivo nell’amore e nella relazione.
Maria, dunque, piange, soffre. Ma non si chiude, non torna – come i discepoli - sui suoi passi delusa. Continua, invece, a cercare, non si rassegna. È rimasta viva nell’amore e nella relazione, e per questo è stata poi anche colei attraverso la quale Dio, con l’incontro con il risorto, riallaccia il legame con gli uomini. Non potevamo essere rappresentati dalla Vergine Maria, perché Ella è sempre rimasta fedele, è senza peccato. Noi invece siamo peccatori. È Maria di Magdala, la peccatrice perdonata, dunque, colei che ci rappresenta. Sulla croce la Madre del Signore diventa nostra madre, mentre dopo la risurrezione è Maria di Magdala colei che ci introduce all’incontro con il risorto e ci fa accedere al perdono. La alleanza di Dio con l’uomo, conclusione, viene ristabilita nell’incontro di Gesù con Maria di Magdala.
Credere nella risurrezione non è semplicemente un fatto interiore. È un modo di stare nella vita, è un criterio alla base delle scelte da compiere, è un modo di guardare la realtà, è la capacità di uno sguardo libero sul mondo, è saper vedere oltre se stessi e oltre il presente, capaci cioè di vedere il compiersi della promessa di vita eterna che Dio ci ha rivelato in Gesùrisorto, anche dentro le nostre realtà a volte così dure.
L’ultima riga del vangelo parla di annuncio: “E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura»” (Mc 16,15). Nel Vangelo, credere e annunciare sono sinonimi. Chi crede non può tacere. “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20).
Oggi Gesù rivolge anche a noi la domanda posta a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita… credi tu questo?” (Gv 11, 25-26). Che ne abbiamo fatto di questo mistero? Quanto la coscienza che Cristo sia risorto e che sia vivo ha cambiato ed è determinante per la nostra esistenza?
Con Maria di Magdala noi oggi diciamo, che crediamo e annunciamo che la morte è ogni luogo della vita dove Dio è assente, dove l’uomo è senza la relazione con Lui. Che questo è il vero fallimento della vita. La vita, infatti, non è senza senso quando ci manca qualcosa, quando sperimentiamo il dolore, la fatica, ma quando ci manca il Signore, quando siamo soli, senza di Lui. La morte si trova dove Dio non è Padre, dove Lui non è sorgente di vita. Dove non siamo capaci di fargli spazio.
E oggi noi crediamo e annunciamo che Dio Padre si è fatto spazio nella vita di ciascuno di noi, per sempre. La risurrezione è l’irruzione della sua vita nella nostra.
Tornando al Vangelo proclamato oggi, chiediamoci dove noi ci identifichiamo oggi. Abbiamo il coraggio della fiducia e crediamo che davvero Lui è risorto, o siamo come i discepoli che sì sono ancora in qualche modo sono legati a Gesù, ma non ci credono davvero, e restano fermi o ritornano sui loro passi.
Stiamo vivendo da troppo tempo in un contesto di guerra, con le sue conseguenze di sfiducia, di odio e di dolore e di morte. Ma siamo chiamati a vivere il mistero della risurrezione anche dentro questo contesto. Di fronte a tutto questo male, il Vangelo ci propone due risposte diverse: quella di Maria di Magdala che corre e annuncia, e quella dei discepoli increduli e fermi.
Sta a noi fare la nostra scelta.
+ Pierbattista