30 giugno 2024
XIII Domenica del Tempo Ordinario B
Mc 5,21-43
Una chiave di lettura che può aiutarci nella comprensione del brano di Vangelo di oggi (Mc 5,21-43) è il versetto 33: la donna con continue perdite di sangue, dopo essersi fatta furtivamente guarire da Gesù, è invitata ad uscire allo scoperto, a manifestarsi (Mc 5,30). E lei lo fa, ma lo fa “impaurita e tremante” (Mc 5,33).
Non sono due aggettivi a caso.
Li ritroviamo, infatti, nella Lettera agli Ebrei (Eb 12,18ss), nel capitolo in cui l’autore sta riflettendo sulle due alleanze, quella stipulata sul Sinai (Es 19) e quella rinnovata con la Pasqua di Gesù.
L’autore della Lettera, parlando ai suoi lettori, dice che essi non si sono avvicinati ad un evento tremendo e drammatico, come quello raccontato nella Teofania sul Sinai: in quel caso, lo spettacolo era così terrificante che anche Mosè disse. “Ho paura e tremo” (Eb 12,21).
Anche Mosè, dunque, di fronte alla Teofania del Sinai, è come la donna emorroissa davanti a Gesù: entrambi impauriti e tremanti.
Ma perché Mosè era impaurito? Sicuramente perché la teofania era impressionante: lampi, tuoni, terremoti, fuoco. Ma non solo per questo. Doveva esserci uno spazio, una distanza ben definita tra il popolo e il luogo della presenza di Dio. Non ci doveva essere contaminazione. Chi si fosse avvicinato al monte della Teofania, o avesse contaminato lo spazio sacro, doveva addirittura essere messo a morte (Es 19,12)! Anche nel Tempio, in seguito, verrà definita una chiara distinzione tra il luogo sacro per eccellenza, accessibile a pochi e solo in certi momenti, e il resto del popolo.
Allora è evidente che ci troviamo di fronte a due modi diversi di vedere Dio: quello di Mosè, dove non ci si può avvicinare a Dio. Quello della donna emorroissa, dove vi è il contrario: chi tocca Dio vive.
Muore, semmai, non chi lo tocca, ma chi non lo tocca. Tutto il progetto della donna, una volta udito parlare di Gesù, girava infatti intorno alla possibilità di toccare: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salva” (Mc 5,28).
La donna è tremante, perché ha paura. In fondo, quella donna ha un’idea di Dio comune a tanti uomini, un Dio a cui carpire la salvezza, un Dio che fa paura.
E Gesù la esorta a venire allo scoperto, non per confermarle questo volto di Dio, ma per rovesciarglielo, e lo fa con parole capaci di guarire il cuore: “Figlia, va’ in pace” (Mc 5,34).
Innanzitutto “figlia”: è l’unica volta questa, nel Vangelo di Marco, in cui Gesù chiama qualcuno così. Questa donna, che ha osato toccare il Dio-con-noi, ha ritrovato pienamente la propria identità, la propria verità, quella di Figlia del Padre.
Questa figlia può ora andare in pace, perché è finito il tempo della paura, ed è iniziato il tempo della fiducia e dell’amore. Toccare Gesù, la presenza definitiva di Dio tra noi e lasciarsi toccare da Lui, incontrarlo, non è più proibito. Non c’è più separazione tra sacro e profano.
Che questo tempo sia definitivamente iniziato, lo vediamo anche nell’altra scena raccontata nel brano di oggi, e con cui il Vangelo era iniziato: un capo della sinagoga, ovvero un uomo di religione, non può far nulla per la figlia ammalata, e viene da Gesù. Gesù subito si mette in cammino, ma viene interrotto dall’intervento della donna con perdite di sangue, come abbiamo visto. E quando arriva a casa di Giairo, ormai non c’è più nulla da fare: la bambina è morta (Mc 5,35).
Succede che proprio in quel momento, quando ogni speranza sembra svanire, lì si celebrano le nozze tra Dio e l’umanità.
La bambina, infatti ha 12 anni: l’età delle nozze. E Gesù fa uscire tutti dalla stanza, tranne il padre, la madre e quelli che erano con Lui, ed entra nella stanza dove si trova la bambina.
Questa stanza di morte diventa stanza nuziale: Gesù la prende per mano (Mc 5,41), come uno sposo prende per mano la sposa; e i genitori consegnano la sposa allo sposo, davanti ai testimoni.
Le nozze sono concluse.
La Parola, oggi, ci apre la porta verso un tempo nuovo: un tempo in cui lasciar cadere ogni nostro sentimento di indegnità, ogni nostro timore, ogni meccanismo inconscio che ci porta a pensare di dover guadagnare la salvezza con i nostri sforzi, per credere che, in Gesù, il legame con Dio ci è dato gratuitamente e si tratta solo di aprirgli sempre di più il cuore, di portare a Lui ogni nostro desiderio di salvezza e di vita.
+Pierbattista