Omelia del Cardinale Pierbattista Pizzaballa
SANTA MARIA DEGLI ANGELI, 27 LUGLIO 2025
Tratto da: https://assisiofm.it/la-preghiera-deve-cambiare-il-nostro-cuore/
Sono molto felice di essere qui con voi.
Il tema di oggi che abbiamo ascoltato nella prima lettura, e anche nel Vangelo, è la preghiera.
Non è facile parlare della preghiera: i discepoli vedono Gesù che prega, nel Vangelo di Luca si vede diverse volte Gesù assorto in preghiera e i discepoli vogliono anche loro (c’erano tante scuole all’epoca: c'erano le scuole di Giovanni Battista, le scuole di Farisei…) e anche loro volevano imparare da Gesù il loro modello di preghiera - distinto da tutti gli altri.
E vedono in Gesù qualcosa di particolare in quel momento. La loro domanda è una domanda importante: “Gesù, insegnaci a pregare”.
La preghiera innanzitutto è una scuola, richiede percorsi, richiede preparazione, richiede lavoro su di sé. Noi spesso intendiamo la preghiera a volte come “formule” o qualcosa di emozionale.
Questa cose servono, ma la preghiera richiede un lavoro su di sé, per lasciare spazio. Non è neanche un lavoro esclusivamente per l'interiore, per scavare dentro di sé: c'è anche questo sicuramente.
Ma la preghiera come Gesù ce la presenta è: permettere a Dio di entrare nella nostra casa, come l'amico del Vangelo.
La preghiera dunque richiede lavoro - perché Dio non lo tocchiamo in carne e ossa come qualsiasi altro, quindi il lavoro deve sempre permettere che Dio trovi casa dentro di noi.
Non è semplice, richiede un percorso che non è mai completo.
La preghiera è anche nutrimento: “non di solo pane vive l'uomo”. Nella preghiera vediamo che si parla sempre del pane, darsi il pane quotidiano, darci la vita, ecco ma non di solo pane vive l'uomo: noi siamo fatti anche di domande, tante domande, tante inquietudini, dei desideri profondi. La preghiera deve arrivare dentro tutto questo, portare, illuminare tutto quello che è nel profondo, nelle fibre del nostro essere, dove il Signore che abita nella nostra casa deve entrare dentro, deve trovare spazio per abitarla e abitare anche tutte le nostre domande più profonde.
La preghiera non è necessariamente una risposta alle nostre domande. Noi siamo creature, lui è Creatore. Abbiamo tante domande forse resteranno senza risposta. Dio solo sa quante domande abbiamo in Terra Santa in questo momento, anche rivolte a Dio, che restano lì in attesa, la preghiera è anche sapere attendere, sapere stare dentro quelle situazioni con lo spirito giusto, ma la preghiera nutre dunque anche le fibre profonde del nostro essere.
Un altro tema presente nel brano del Vangelo è l'amicizia.
Noi non apriamo il nostro cuore all'estraneo: noi l’apriamo ad una persona a cui vogliamo bene, un amico, facciamo confidenze, siamo aperti a ricevere confidenze con un amico. Gli OMELIA DEL CARDINALE PIERBATTISTA PIZZABALLA amici qui nel Vangelo sono due o tre, un amico che va dall'amico, che va a sua volta dal suo amico e così via. La preghiera è questo, richiede questa amicizia, questo desiderio, questa fiducia di aprire il proprio cuore a qualcuno: che è Dio.
E poi l'altro aspetto importante è riconoscere che non abbiamo il pane. Se uno sa già tutto, se non ha bisogno di niente, non va a chiedere, si sente già arrivato. Avere fame invece in questo caso significa sapere che non siamo arrivati, non sappiamo tutto, non abbiamo tutto, abbiamo bisogno di chiedere il pane, abbiamo bisogno di ristare lì, sapere di avere bisogno di questa presenza, che illumina la vita e la riempie, la riempie di amicizia, di amore, senza risolvere i problemi, che resteranno, ma ci dà la possibilità di stare dentro i problemi con uno spirito totalmente diverso.
Ecco, e riconoscere dunque che abbiamo bisogno del pane e che non ci produciamo da soli il pane, è un dono di Dio, che dobbiamo chiedere: riconoscere dunque che abbiamo fame e non siamo in grado di sfamarci da soli.
Poi c'è la preghiera di intercessione: l'amico che va a chiedere per il suo amico, a chiedere il pane per l'amico. Sapere intercedere, insistere: portare a Dio l'altro nella preghiera non soltanto per sé, la preghiera per l'altro, bisogno di pane per il mio amico, portare tutto questo nella preghiera.
Dico forse una cosa che non è facilmente comprensibile: la preghiera non cambia il mondo, la preghiera deve cambiare il cuore, il cuore delle persone.
Sono le persone che devono cambiare il mondo se il loro cuore è cambiato, se il loro cuore è convertito. Ecco, lo scopo della preghiera dunque è cambiare il cuore dell'uomo, lasciare che la presenza di Dio poco alla volta ci scavi dentro e piano a piano dia forma al nostro modo di pensare, al nostro modo di vedere, di leggere le situazioni della vita personale, familiare, comunitaria, politiche e così via.
La preghiera cambierà il mondo se noi uomini e donne lasceremo che la preghiera ci scavi dentro e ci dia uno sguardo diverso sulla vita del mondo, dove Dio è presente, dove Dio interviene.
E poi il cuore della preghiera. Gesù ce lo dice.
Le due versioni del Padre Nostro hanno dei punti in comune: innanzitutto riconoscere che Dio è padre, padre significa “che genera”, il padre genera, genera la vita e quindi celebrare il padre che ti genera la vita.
E che si occupa anche del pane, perché noi non siamo spirito, siamo anche carne, abbiamo bisogno di mangiare, quindi chiedere, portare nella preghiera la propria vita, i propri bisogni anche vitali, chiedere di non lasciarci soli nelle vicende, nelle fatiche della vita, “non ci indurre in tentazione”, che non cadiamo nella tentazione.
Celebrare il Padre, dunque, che ci genera la vita, e celebrare il perdono, senza il perdono non c'è la vita. Senza il perdono, senza la capacità di perdonarci non siamo morti e rigenerarci continuamente è una nuova vita.
Immagino dovrò dire qualcosa anche su questo: se la preghiera fosse veramente entrata dentro di noi, forse in Terra Santa non vivremmo quello che stiamo vivendo.
Se la capacità di perdonarci fosse qualcosa di reale, non saremmo dove ci troviamo oggi.
E qui la testimonianza cristiana è importante: perdonare non significa dimenticare, non significa cancellare, non si può cancellare, non si può dimenticare, ma non fermarsi al male subìto, essere capaci di avere uno sguardo diverso su quello che si vive. E solo chi si è lasciato abitare dalla presenza di Dio è capace di questo, perché da soli non lo possiamo, ma qui siamo capaci.
E quando ogni volta che si parla di pane non posso non pensare anche alla difficile situazione che gran parte della nostra diocesi sta vivendo, dove il pane è un miraggio.
Dunque, chiedere il pane è una preghiera reale, concreta di molte persone: nessuno avrebbe pensato che nel 2025 fossimo ancora costretti a chiedere il pane, proprio qui, in una terra dove il pane non manca, dove c'è abbondanza di tutto.
Però anche dentro a quelle situazioni voglio vedere anche il bene che si trova. In una situazione dove l'umanità sembra cancellata, sembra irrimediabilmente ferita, ecco che uno sguardo attento riesce a individuare tanti gesti di umanità vera, nelle persone che nonostante la fame sono ancora capaci di condividere quel popolo che hanno, nelle persone che nonostante la malattia, nonostante la mancanza delle medicine sono capaci di dare la medicina che serve per sé, magari importante, a chi ne ha più bisogno.
Vedere i bambini che sono ancora capaci di sorriso, sono ancora capaci di pregare, di impegnarsi, di studiare, di gioire anche per le cose più semplici. Noi “grandi” non siamo capaci di questo, abbiamo perso l'innocenza, ma loro ce l'hanno.
Tutto questo ci dice che nonostante tutto l'umanità non è ancora del tutto perduta: è il nostro dovere, il dovere di pastori, il dovere di noi responsabili, salvare l'umanità in quelle situazioni così disumane.
Nella Prima Lettura c'è un richiamo importante: siamo in un momento in cui vorrebbe dire basta, per voi non si può fare più nulla, ma anche dentro il popolo di Israele ci sono ancora tanti giusti. E per noi, quei giusti che ancora hanno la vita per l'altro, noi dobbiamo essere capaci di volere bene anche a loro, essere capaci di non chiudere il nostro cuore, altrimenti faremo esattamente come tutti gli altri.
Allora siamo chiamati, e concludo, a portare Dio la nostra fame, portare anche Dio la fame degli altri, di quelli che veramente hanno letteralmente fame.
Abbiamo bisogno di ritrovarci in Lui, uomini e donne, amici dei quali fidarsi, e condividere insieme il pane, cioè la vita.
Amen.