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Fratelli tutti: Ricezione nel mondo islamico mediorientale e dialogo interreligioso

Meeting di Rome, Prolusione Seraphicum - Jerusalem 7th, 2022

Conferenza di Madrid sul dialogo interreligioso e l'ecumenismo - 22 febbraio 2021

Fratelli tutti: Ricezione nel mondo islamico mediorientale e dialogo interreligioso

0. Premessa

Premetto che non intendo parlare in questa sede del dialogo interreligioso a livello generale, cosa che non credo sia nelle mie competenze, come pure della accoglienza dell’enciclica “Fratelli Tutti” nel mondo islamico complessivo, perché sarebbe un tema troppo vasto. Come il cristianesimo, anche l’Islam infatti è una galassia sterminata, costituita non soltanto dai due filoni principali – sunnita e sciita – ma da tantissime altre derivazioni, ambienti culturali e tradizioni diversissimi tra loro. L’Islam asiatico è completamente diverso da quello africano, ad esempio. L’Islam europeo è una novità di queste ultime generazioni che deve ancora trovare una sua anima, se mai ci sarà, e probabilmente assumerà tratti e caratteristiche diverse da Paese a Paese. Non avrebbe senso, quindi, parlare di un Islam generico che coinvolga teoricamente l’Islam in generale, perché sarebbe solo una teoria accademica, non del tutto collegata al mondo reale. Mi limiterò quindi a presentare la mia visione, a partire dalla mia esperienza in Terra Santa.

La culla storica, religiosa e sociale dell’Islam è in Medio Oriente e il mondo arabo ne è il riferimento culturale principale. È qui che l’Islam è nato e qui ha definito i suoi tratti fondanti che sono poi diventati norma per tutti. Ed è ormai assai difficile separare la cultura araba da quella islamica, spesso intese erroneamente come sinonimi. Quando incontro le chiese in Europa, ad esempio, sento spesso fare confusione tra il termine “arabo” e “musulmano”. È una cosa che ferisce molto i cristiani mediorientali, arabi anch’essi ma non musulmani.

Se il mondo arabo mediorientale è la culla culturale e religiosa dell’islam, significa anche che gli orientamenti e le prospettive che qui in Medio Oriente si compiranno, influenzeranno in un modo o nell’altro anche il resto del mondo islamico. Abbiamo visto, ad esempio, qualche anno fa, con la nascita dell’Isis, come il richiamo ai musulmani nel mondo sia stato non così irrilevante, come pure siano forti i legami delle comunità islamiche nel mondo con questa terra dal punto di vista delle sentenze dei tribunali islamici e per tutto ciò che riguarda la loro vita religiosa. Non intendo entrare dentro queste valutazioni, che sono assai complesse, ma solo segnalare che comunque ciò che accade nel Medio Oriente dal punto di vista religioso (ma non solo), alla lunga influenzerà anche il resto del mondo islamico e quindi anche l’Islam che si sta affacciando nei vostri Paesi.

Parlerò, dunque, a partire dalla mia esperienza pluridecennale in Medio Oriente Si tratta comunque di una visione necessariamente incompleta, per cui vi prego di accogliere le mie osservazioni con sereno spirito critico.

Cercherò di rispondere a due domande:

1) Come è stata recepita l’Enciclica “Fratelli Tutti” in Medio Oriente?

2) Alla luce di “Fratelli Tutti”, qual è oggi la situazione del dialogo interreligioso in Medio Oriente?

1. Come è stata recepita l’Enciclica “Fratelli Tutti” in Medio Oriente

1.1. La conoscenza diretta del testo dell’Enciclica

Alla prima domanda è assai semplice rispondere: Nel mondo Islamico non vi è alcuna recezione del documento Fratelli Tutti, perché non è conosciuto. Non è stato e non sarà letto nelle scuole, non sarà usato nelle moschee e nei centri di studio islamici. Non c’è alcun interesse a leggere e conoscere i documenti che provengono dalle Chiese cristiane, Santa Sede inclusa. Certo ci sono qua e là, studiosi e religiosi “specializzati” nel dialogo interreligioso che hanno letto e forse anche commentato l’enciclica papale. Penso in questo momento al Principe Hassan di Giordania, zio del re Abdallah, esperto in dialogo e studioso dell’Islam. Ci sono certamente anche ricercatori nei vari centri islamici che avranno il testo sul loro tavolo di studio. Ma niente più. Si tratta per lo più di studiosi “laici” o comunque non appartenenti al sistema religioso ufficiale islamico e alle varie istituzioni religiose. Persone o istituti, insomma, che costituiscono un interessante presenza culturale del territorio, aperta al dialogo e al confronto critico, ma che poca o nessuna influenza hanno sulla vita reale della popolazione. Non bisogna certo negare che ci sono anche tra le istituzioni religiose ufficiali segnali coraggiosi di apertura, come l’Università sunnita di al-Azhar, al Cairo, che sta facendo da apripista e acquistando un’influenza sempre maggiore.

In Medio Oriente la formazione del pensiero religioso, le informazioni, le comunicazioni, insomma tutto ciò che arriva alla popolazione araba islamica su temi religiosi è mediato dalle istituzioni religiose ufficiali: moschee, imam, tribunali islamici e così via. È attraverso loro che arrivano le informazioni alla popolazione e sono quelli i contesti in cui si formano il pensiero religioso e gli atteggiamenti sociali in generale. Se gli imam e i leader religiosi parlano del documento, allora la gente saprà di esso e lo conoscerà attraverso quanto da loro avranno ascoltato.

Ovviamente anche qui, come nel resto del mondo, i media giocano un ruolo fondamentale. Le autorità religiose islamiche sono molto attive nel mondo dei media, molto più che le Chiese cristiane. I social media sono invasi da materiale religioso e tutti i leader religiosi hanno il loro bacino di ascolto. Non c’è un’autorità religiosa unica nell’Islam. I vari capi hanno il loro seguito, che generalmente segue le decisioni del loro leader. Va poi aggiunto che quasi tutti questi paesi hanno regimi di controllo piuttosto ferreo, e le autorità civili non permettono facilmente la diffusione di materiale non compatibile con l’Islam sui media, che sono spesso controllati.

Anche le istituzioni nazionali, in effetti, hanno un ruolo assai rilevante. Le decisioni dei governi (spesso monarchie assolute o regimi dittatoriali) hanno un’influenza decisiva nella trasmissione delle informazioni e soprattutto nella formazione. I programmi scolastici e accademici sono ovunque fortemente centralizzati e vi è un controllo scrupoloso soprattutto negli ambiti accademici dei testi e manuali di studio. Nemmeno le scuole cristiane sono escluse da questo fenomeno di controllo.

Va inoltre detto che non di rado le istituzioni nazionali, e soprattutto i ministeri dell’istruzione, sono fortemente islamizzate, per cui vi è spesso affinità di pensiero tra le istituzioni religiose e quelle civili. Quasi tutti i paesi mediorientali, infatti, sono paesi nei quali l’islam è religione di stato. Fanno eccezione Israele, che è stato ebraico, e forse il Libano, che ha una storia diversa, ma che sta pagando in questo momento il prezzo delle lotte intraislamiche e allo stesso tempo la debolezza cristiana, a causa delle sue lotte intracristiane.

La società araba, in breve, è fortemente influenzata dal pensiero religioso islamico, che permea in profondità tutti gli ambiti della vita sociale, sia civile che religiosa. La fede non è solo un’esperienza religiosa personale, ma anche definizione di un’identità sociale. La religione è determinante in senso storico, culturale ed umano. È raro trovarvi traccia di elementi laici, nel senso introdotto in Occidente dalla Modernità, dove Stato e Chiesa sono tenuti distinti e dove la fede è solo uno degli aspetti, più o meno rilevanti, della realtà sociale. In Medio Oriente l’Islam, insomma, entra in tutti gli ambiti della vita quotidiana, pubblica e privata.

Le istituzioni religiose islamiche, inoltre, pur con qualche eccezione, non si occupano di dialogo interreligioso e del confronto con le altre fedi religiose. Si occupano prevalentemente di questioni interne, dei problemi legati alla vita civile e religiosa dei loro Paesi, ai temi che coinvolgono le loro rispettive popolazioni. Se rivolgono la loro attenzione all’Occidente o fuori dal Medio Oriente, è quasi sempre per motivazioni legate alla custodia dei valori religiosi islamici: la questione dell’uso del velo proibito in Francia, ad esempio, o del valore delle sentenze dei tribunali islamici in Gran Bretagna. Dal momento che l’Islam permea – come dicevamo – gli ambiti della vita personale e sociale della comunità, è un problema reale per le autorità islamiche locali che in Europa tribunali civili non islamici determinino la vita di musulmani in ambito familiare, come per le sentenze di divorzio, o altro. Trovare, inoltre, rappresentanti di istituzioni religiose islamiche che parlino altra lingua, oltre l’arabo, non è facilissimo.

La difficile e tormentata storia tra Oriente e Occidente, infine, ha ancora una forte influenza nel pensiero comune della popolazione musulmana. Il ricordo dei crociati, delle guerre passate, ma soprattutto del colonialismo e delle ingerenze europee e occidentali nel passato recente e del presente non aiuta ad un atteggiamento aperto e privo di sospetti nei confronti delle Chiese. In Tunisia, ad esempio, ricordano ancora le lunghe processioni di bambini musulmani ai tempi del dominio coloniale, alunni delle scuole religiose cristiane, vestiti da crociati con una grande croce sul petto, in occasione di qualche festa o visita ufficiale. L’identificazione di occidente con cristianesimo insomma è ancora abbastanza generalizzata e ha lasciato un ricordo ancora vivo.

Queste sono alcune delle motivazioni per comprendere perché non c’è stata una grande diffusione per l’enciclica di Papa Francesco, pur essendo scritta pensando anche a loro. Non si tratta necessariamente di atteggiamento di rifiuto o di polemica. Semplicemente il pensiero è incentrato su dinamiche completamente diverse rispetto all’Occidente europeo e alle Chiese cristiane. Permeando totalmente la vita personale e sociale della comunità, ed essendo i confini delle identità comunitarie così forti, c’è necessariamente meno attenzione a ciò che accade fuori dal proprio contesto di vita.

Ma non voglio dare impressione di essere un pessimista. Quanto detto fino ad ora, infatti, non significa che il contenuto del documento papale e che la figura del Papa siano visti con antipatia. Al contrario, se escludiamo le frange più estremiste e radicali, in generale vi è un atteggiamento positivo nei confronti della figura del Papa e dei gesti da esso compiuti.

Ecco: più che lettere e discorsi, hanno molta influenza sulla popolazione araba i gesti, perché essi arrivano a tutta la popolazione senza alcuna mediazione e non hanno bisogno di interpretazioni. L’incontro di Papa Francesco ad Abou Dhabi, ad esempio, ha avuto un impatto enorme nella coscienza pubblica araba levantina. Probabilmente nessuno ricorda cosa si sono detti i due protagonisti dell’incontro, né leggeranno il testo che hanno firmato, ma certamente tutti ricordano l’incontro e il comune desiderio di lavorare insieme.

Quei gesti aiutano enormemente a creare un ambiente positivo, anche se non ci si deve illudere che tutto cambi con i ritmi che magari noi ci aspettiamo. In una terra dove le tradizioni e la memoria sono parte costitutiva delle varie identità comunitarie, i cambiamenti sono sempre processi lunghi.

1.2 Il contenuto dell’Enciclica nel vissuto della società islamica MO

È chiaro, dunque, che l’Enciclica non sarà letta dalla maggioranza della popolazione e abbiamo spiegato perché. Resta ora da chiedersi se perlomeno i temi che l’enciclica ha trattato sono vissuti all’interno delle nostre società.

Il linguaggio del documento, pur essendo aperto a tutti, è comunque essenzialmente cristiano ed è scritto in un contesto cristiano. Ma i temi sono comunque generali, toccano la vita di tutti e sono certamente presenti e vivi anche nei nostri contesti di vita. Non in maniera uniforme, non sempre in maniera chiara, ma pur sempre vivi e vissuti. Il Medio Oriente sembrerebbe essere l’emblema del fallimento, a prima vista, il simbolo dello scontro tra le civilizzazioni e le culture. Ma non è così. O non è solo così. Non possiamo cioè negare i problemi evidenti in tutto il Medio Oriente, ma non possiamo limitarci ad elencare i problemi, senza dire anche quanto di bello esiste nelle nostre società.

1.2.1. Cosa dice l’Enciclica

L’enciclica, dicevamo, tocca un po’ tutti i punti che riguardano la convivenza sociale. I temi sono noti, ma li elenco per brevità, per sapere di cosa parliamo.

1) Il Santo Padre comincia a presentare la situazione di chiusura esistente nel mondo, come la mancanza di speranza e di fiducia nelle società, le polarizzazioni, gli interessi economici che “scartano’ le persone, la disuguaglianza nei diritti, le nuove forme di schiavitù, la progressiva scomparsa dei valori spirituali, la manipolazione delle grandi parole, come libertà, democrazia, giustizia e unità.

2) Da questa constatazione si passa poi a prendere coscienza come sia necessario accorgersi dell’estraneo sulla nostra strada, come il Samaritano del Vangelo. La situazione nella quale ci troviamo ci interpella: dobbiamo non solo chiederci chi sia il mio prossimo, ma come farci noi prossimo all’altro rispetto a noi.

3) Il Papa invita poi a promuovere il bene e pensare ad un mondo aperto, perché nel donarsi agli altri trova la propria pienezza; invita a saper accogliere e integrare, superando le barriere e le frontiere di ogni genere, lottando insieme contro povertà e ingiustizie sociali.

4) Invita a riconoscere che in ogni cultura vi è una base di accoglienza e aprirsi alla gratuità.

5) Si parla poi del legame indispensabile ma anche pericolosissimo con tra religione e politica e la responsabilità della politica nella vita sociale.

6) Il dialogo e il suo significato nelle società sempre più pluraliste di oggi.

7) La necessità di ricercare nuovi percorsi di pace e riconciliazione.

8) Il ruolo delle religioni nel servizio alla fraternità universale.

1.2.2. Problematiche

Come tutto ciò è vissuto allora in MO? Non entro qui nell’analisi della situazione politica mediorientale, che non è il nostro tema, e che è comunque abbastanza nota. Partirò dagli elementi di difficoltà esistenti, per poi arrivare anche alle esperienze di luce.

Conflitti e tensioni politiche e religiose sono qui all’ordine del giorno. A preoccupare, oggi, è il carico di frustrazione, di sfiducia profonda che si respira e che si incontra. I fallimenti dei movimenti popolari degli anni scorsi, come la primavera araba, il disastro Isis, la corruzione dei regimi nazionali, le disuguaglianze sociali, una situazione economica disastrosa con altissimi tassi di disoccupazione, mancanza di prospettive chiare di cambiamento e sviluppo… tutti questi elementi hanno creato una situazione pesante in tutti i Paesi. Si pensi che più del 50% della popolazione ha meno di 25 anni. Superare questa situazione richiederà molto tempo e tante energie che non sembra siano investite: vi è inoltre sfiducia tra palestinesi e israeliani; vi è sfiducia tra cristiani e musulmani; i musulmani a loro volta si sentono attaccati da tutti, per non parlare degli ebrei israeliani, che si sento oggetto delle critiche del mondo a causa della loro politica. L’intreccio di relazioni di diverso tipo che hanno costituito la civiltà orientale in questo ultimo secolo si sta modificando in qualcosa di nuovo che ancora facciamo fatica ad indentificare. La Pandemia non ha fatto altro che accentuare o fare esplodere in maniera violenta tutte queste situazioni.

L’islam, inoltre, sta vivendo un periodo di profonda crisi identitaria, scossa da tanti fallimenti ancora cocenti: l’Isis ha fallito e ha lasciato dietro di sé non solo macerie fisiche, ma anche profonde ferite e tantissime domande all’interno della popolazione soprattutto giovanile, così come sono in crisi molti dei movimenti politico-religiosi. Non mancano, naturalmente, gli intrecci politici ed economici, regionali ed internazionali, che tutti conosciamo e che ora sono diventati evidenti a tutti e sono parte della cronaca quotidiana.

I cristiani si sentono oggetto di persecuzione e nelle comunità musulmane ci si sente obiettivo dell’odio del mondo. Gli ebrei temono una recrudescenza dell’antisemitismo. Ciascuno tende a leggere la realtà esclusivamente dall’interno della sua prospettiva, senza occuparsi di quella dell’altro.

Ciò che invece è sempre più necessario è l’esigenza di una maggiore relazione tra le diverse comunità, per non correre il rischio di restare chiusi dentro una visione che spesso non supera i confini della propria comunità di appartenenza, cristiani, ebrei e musulmani.

Per superare questa crisi, dunque, e per poter parlare di futuro è necessario riprendere i fili delle relazioni tra le diverse comunità e cercare di individuare almeno dei tratti comuni a tutti, come suggerisce l’enciclica, e non invece costruire nelle rispettive comunità narrative completamente diverse, se non antitetiche le une alle altre.

Musulmani, cristiani ed ebrei, infatti, resteranno nel MO. La crisi attuale non annienterà le diverse comunità. E il loro destino non cambierà. Siamo e saremo continuamente chiamati a confrontarci gli uni con gli altri. I cristiani dovranno necessariamente costruire il loro futuro insieme e in sinergia con tutte le altre comunità religiose, in particolare con le comunità islamiche, con le quali continueranno a convivere. Il dialogo con i musulmani non è un lusso da snob intellettuali, ma una necessità vitale.

Allo stesso tempo i leader musulmani devono comprendere che le comunità cristiane, come tutte le altre comunità religiose, sono parte integrante del loro territorio, che il rapporto con esse è parte insostituibile del loro interno processo di riforma, che la relazione con l’altro da sé, con la modernità e con il mondo esterno - culturale, sociale, religioso ed economico - non è una sfida che non li riguarda, che il loro futuro non può prescindere da queste considerazioni.

In questo contesto è importante, come dicevamo, il ruolo dell’Università di Al-Azhar del Cairo, centro religioso di riferimento almeno per il mondo musulmano sunnita. Fu proprio quell’Università a promuovere l’incontro di Abou Dhabi, e fu li che il Grande Iman pronunciò un discorso solenne, in arabo, e quindi immediatamente compreso da tutti, sulla necessità della presenza cristiana in Medio Oriente. Ebbe un impatto notevole e fu un conforto incredibile per la piccola comunità cristiana mediorientale. Proprio sulla base delle grandi difficoltà del momento, dei grandi cambiamenti sociali in corso, della tentazione al settarismo sempre presente, che il Grande Iman capì che era necessario cominciare a porre gesti nuovi e in una nuova direzione.

Con la sua visita in Iraq, Papa francesco ha anche avviato un avvicinamento simile della Chiesa con il mondo sciita, anch’esso attraversato da molte divisioni interne.

È importante, comunque, anche lavorare con i capi religiosi locali, quelli che hanno influenza diretta sul territorio. Il rapporto con i leader religiosi locali è un passaggio determinante per risolvere gran parte dei conflitti a livello locale.

È evidente, inoltre, che i modelli di politica attuali del Medio Oriente sono falliti. Non vi è stato un solo governo, una leadership che sia stata capace d’intercettare il bisogno di cambiamento evidente dentro la società, lasciando, così, spazio alla crescita esponenziale di movimenti radicali e integralisti, anch’essi, comunque ora in forte crisi. La corruzione e la cristallizzazione della classe politica e religiosa hanno prodotto una situazione assai pesante a tutti i livelli del vivere civile. Le attuali manifestazioni popolari di Libano, Tunisia, Iraq e molti altri Paesi sono un segnale evidente della frustrazione profonda delle società della regione e il bisogno di darsi nuovi modelli sociali, basati su giustizia, uguaglianza di diritti, lavoro e dignità e dove la religione debba ripensare un suo ruolo meno invadente all’interno della vita politica e civile.

Bisogna comunque avere anche il coraggio e la parresia di sollevare serenamente e francamente un altro problema. C’è in parte del mondo musulmano una formazione, un pensiero, un’educazione al rifiuto dell’alterità, che porta a considerare i non musulmani come realtà minore. È chiaro che non spetta a noi di riformare l’Islam, ma penso che l’ideologia sulla quale i movimenti estremisti basano le loro politiche persecutorie, si basano e si nutrono di un contesto culturale e religioso che necessita un radicale, serio e sereno ripensamento. Bisogna comunque ribadire che la tragedia degli anni scorsi creata dai movimenti estremisti (terrorismo, ISIS) ha, comunque, accelerato il processo di ripensamento critico all’interno dell’islam. Non se ne parla molto, ma sono sempre più numerose le voci critiche al loro interno, che chiamano alla liberazione dell’Islam dal legame diretto con certe forme di politica.

1.2.3 Semi positivi

Come abbiamo visto il piano istituzionale è oggettivamente problematico. Ma vi è poi il piano della vita, dei semplici cittadini, religiosi e no, delle tante persone e associazioni che, nonostante tutto, cercano insieme di mostrare il loro amore e attaccamento alla loro terra e a tutti i suoi abitanti, attraverso iniziative comuni o semplicemente attraverso semplici relazioni di amicizia, che superano i rigidi confini delle appartenenze identitarie e religiose.

Non è questo il momento dei grandi gesti, non è il tempo nel quale attendere dalle istituzioni religiose e politiche capacità di visione e di profezia. Le istituzioni arriveranno, prima o poi, ma nel frattempo bisogna lavorare ed operare laddove le persone sono disposte a mettersi in gioco, a spendersi per ripulire il volto sfigurato di questa regione attraverso le loro iniziative di dialogo e di incontro, di preghiera e di condivisione.

Vi sono iniziative di carattere più civile e altre di carattere religioso, tutte accomunate dal desiderio di dare espressione concreta all’incontro e al dialogo. Ne citerò solo alcune, a mo’ di esempio, che conosco direttamente nel mio territorio. Ma ogni Paese Mediorientale ne ha altrettante al suo interno.

Tra le iniziative di carattere civile penso ad esempio al Jerusalem Intercultural Center. Composto da israeliani e palestinesi, ebrei, musulmani e cristiani, si occupa di migliorare la vita degli abitanti della città, a prescindere dalle loro appartenenze. Interviene nelle emergenze, quando ci sono, coinvolgendo la popolazione, facilitando incontri, creando volontariato.

Si devono inoltre ricordare le scuole cristiane. È uno dei contributi significativi che la comunità cristiana offre ai suoi concittadini di tutte le fedi, specialmente musulmani. Sono centinaia di migliaia gli studenti in tutta la regione levantina che studiano nelle nostre scuole, cristiani certamente ma in prevalenza musulmani, e ai quali è data la possibilità di crescere, studiare e formarsi insieme durante gli importanti anni dell’età evolutiva; è questo il nostro modo di contribuire alla vocazione all’incontro. Può sembrare banale, ma laddove tutto porta a creare distinzioni tra le appartenenze, dove i confini identitari sono così forti, studiare e vivere insieme, gomito a gomito, è un modo concreto per educare al rispetto delle differenze.

Se le istituzioni tendono a vedere solo la propria narrativa religiosa e a negare quella altrui, se cioè non si vogliono riconoscere le differenze, il semplice stare insieme a scuola, ciascuno con la sua identità, diventa un gesto significativo. In questo modo, le nostre scuole educano indirettamente ad accogliersi e a rispettarsi reciprocamente ciascuno nella sua identità. Non siamo obbligati a condividere le opinioni, ma possiamo rispettarle. L’amicizia non è costretta dentro i confini della propria identità, ma la supera. È libera.

Ma vi sono anche scuole bilingue, come la rete di Hand-in-Hand, fondata da un musulmano e un ebreo insieme, dove gli alunni studiano in arabo ed ebraico, con doppio insegnante in ogni classe.

Vi sono scuole che hanno un linguaggio universale, come le scuole di musica. Insegnanti e studenti ebrei, cristiani e musulmani, si ritrovano per imparare a suonare uno strumento, ma anche a suonare insieme.

Vi sono poi innumerevoli iniziative di formazione e di informazione organizzate da varie associazioni pubbliche e private. In Terra Santa si vedono spesso gruppi di scolaresche ebraiche che incontrano religiosi cristiani e musulmani e visitano chiese e moschee. È bello vedere scolaresche musulmane che fanno visita ai Luoghi Santi cristiani e sono educate a comprendere dai loro insegnanti musulmani come quei luoghi siano anche parte della loro identità e della storia della loro città.

Vi sono poi altre iniziative di carattere diverso. Ci sono gruppi di giovani e meno giovani che non vogliono limitarsi ad incontri di carattere sociale, storico e culturale. Vogliono capire l’uno le ragioni dell’altro e la sua fede.

Sono gruppi che si dedicano alla lettura dei testi sacri. Ebrei israeliani che leggono insieme ai cristiani arabi l’Antico Testamento e lo commentano insieme. Cominciando dai testi meno impegnativi, fino ad arrivare ai testi che parlano di terra, eredità, promesse, alleanza, le cui interpretazioni sono evidentemente differenti e che hanno anche un carattere politico evidente. Ma si legge insieme anche il Nuovo Testamento, si parla di Gesù, si condivide la conoscenza che si ha di lui.

Vi sono poi altri gruppi, ancora più riservati, sempre di carattere religioso, dove ebrei, cristiani e musulmani, provenienti da esperienze forti e anche con ruoli pubblici non indifferenti, decidono di incontrarsi privatamente per spiegare le loro scelte, ma anche per ascoltare quelle altrui. Sono persone con ruoli anche pubblici che hanno scelto di sfidare le paure e i pregiudizi, per cercare di capire e di conoscere. Si tratta di figure cristiane pubbliche, di rabbini provenienti anche dagli insediamenti nei Territori, di Iman importanti. Non si accontentano della narrativa sugli altri ascoltata dai propri portavoce, ma vogliono attingere direttamente da testimoni della “controparte”. Dopo le paure iniziali, dopo il disagio nell’ascoltare ragioni non condivise, si impara anche a conoscere la logica e la coerenza delle rispettive scelte, senza necessariamente condividerle. E ci si stupisce della facilità a fraternizzare.

Sono solo alcuni degli esempi di vita esistenti. Sotto la superficie di contenziosi e divisioni, dei vari Statu-quo, scorre un fiume di umanità bella, di uomini e donne che si mettono in gioco per dare espressione al desiderio radicato nel loro cuore di amore a Dio. Persone che desiderano incontrare il fratello e la sorella che vive accanto a loro e che rifiutano di credere sia un estraneo o addirittura un nemico. Non si accontentano di vivere di stereotipi, ma si pongono domande e cercano risposte direttamente e sinceramente.

Non dobbiamo generalizzare, certo. Non possiamo negare, come dicevamo, l’esistente tendenza alla polarizzazione e alla divisione, ma abbiamo anche il dovere di riconoscere le fonti di luce che illuminano questo mondo.

Solo lo spettatore superficiale si limiterà alle solite considerazioni delle difficoltà e delle divisioni che, pur esistenti, non esprimono tuttavia l’intera verità. L’osservatore attento saprà riconoscere, sotto una superficie complessa, un mondo di relazioni meravigliose e ricche.

Sono convinto che è da quelle esperienze che dovremo tutti ripartire. Da leader coraggiosi, capaci di visione che sappiano con i loro gesti indicare un modo diverso di stare insieme. Non cambieranno il mondo, contribuiranno però a creare contesti di pace e di rispetto ed essere testimonianza di un modo diverso di vivere queste difficili realtà.

2. Alla luce di “Fratelli Tutti”, qual è oggi la situazione del dialogo interreligioso in Medio Oriente

Molto più che in Europa, il Medio Oriente è sempre stato il crogiolo di differenze religiose. Ebraismo, Cristianesimo e Islam hanno qui il loro cuore e le loro radici. Ciascuna di queste fedi ha poi conosciuto divisioni e vivacissimi sviluppi interni: sunniti, sciiti, cristiani ortodossi, copti, siriaci e tantissime altre comunità sono sorte lungo i secoli, rendendo il Medio Oriente unico nel suo genere in tutto il mondo, luogo di convivenze, anche se non sempre facili.

Dicevamo, inoltre, che le appartenenze religiose sono ancora oggi anche appartenenze sociali e culturali. La fede non è solo un’esperienza religiosa personale, ma anche definizione di un’identità sociale e diventa parte integrante della propria identità civile: ciascuno è definito e considerato cristiano, ebreo o musulmano indipendentemente dal fatto che sia praticante o meno, ma solo dalla nascita. All’autorità religiosa vengono delegati molti aspetti della vita del Paese. Un esempio significativo è rappresentato dal matrimonio: non esistono matrimoni civili, il matrimonio è sempre religioso con notevoli conseguenze a livello sociale.

L’appartenenza religiosa, quindi, oltre a definire il singolo in relazione a sé, lo definisce anche in relazione all’altro. La propria esperienza religiosa e sociale è anche definizione della propria relazione verso l’altro, a livello personale e sociale. Due abitanti di Gerusalemme, pur avendo la stessa cittadinanza, se appartengono a due fedi diverse, avranno due modi di porsi assolutamente diversi rispetto ai problemi comuni e risponderanno a due modelli sociali completamente diversi. Si può insomma essere atei, ma si rimane comunque ebrei, cristiani o musulmani.

In questo contesto, quindi, il dialogo interreligioso può influenzare significativamente la politica, soprattutto in Medio Oriente. Il dialogo inter-religioso in Medio Oriente non è mai solo dialogo inte-religioso, ma anche dialogo tra diverse comunità identitarie, quindi anche con una evidente valenza politica.

Per dialogo interreligioso intendo l’incontro delle comunità religiose e dei loro leader, a partire da quelli locali, per dibattere dei problemi comuni e concreti. In Medio Oriente non si può fare facilmente il dialogo interreligioso su problemi di fede. Si può arrivare alla condivisione della propria esperienza di fede solo dopo avere instaurato un solido rapporto di fiducia e amicizia a livello umano. Si deve partire, cioè, dal dialogo tra religiosi sui problemi comuni, cominciando dalla comune umanità. Se l’appartenenza religiosa ha una funzione sociale così importante in questi Paesi ed è alla base della comprensione delle relazioni a tutti i livelli, è evidente che il dialogo interreligioso acquista una funzione fondamentale, dai risvolti concreti immediati. Dal dialogo (o non dialogo) tra i religiosi musulmani e cristiani d’Egitto, ad esempio, o in Libano, Iraq, ecc., nascerà (oppure no) una reazione immediata nelle relazioni e nelle rispettive legislazioni. Se la religione è parte integrante della vita sociali deve diventare anche parte integrante nella soluzione degli squilibri.

Il dialogo interreligioso si può considerare come un pellegrinaggio, un invito ad uscire dal proprio mondo e dalle proprie certezze per incontrare l’altro e la sua esperienza di fede, cercando la crescita umana e spirituale di ciascuno. Perciò, esso ha valore strategico e pratico, quale mezzo per costruire un legame di lealtà e di fiducia, una "nuova alleanza di speranze", finalizzata a raggiungere insieme tutto ciò che il singolo non può da solo conquistare.

Oggi l’impegno del dialogo tocca nuove frontiere e vede aprirsi ulteriori positive opportunità, ma deve anche misurarsi con problemi sempre più numerosi e pressanti, come quelli relativi alle conquiste della scienza e della tecnica, alla difesa della sacralità della vita umana e della sua dignità, all’affermazione della giustizia, della pace, della libertà, alla tutela dei diritti umani, alla salvaguardia del creato, questioni che implicano risvolti etici di grande complessità.

Tenendo presente il complicato contesto sociale, politico e religioso del Medioriente, i cambiamenti epocali in corso, i mutati equilibri politici e religiosi e le gravi crisi e fallimenti di questi ultimi anni, possiamo dire che qui il dialogo interreligioso dovrà affrontare alcune prospettive e fare propri alcuni criteri e modelli, che si possono riassumere nei seguenti punti:

a) un recupero del significato profetico ed educativo dell’esperienza religiosa. Che non sia più innanzitutto un’appartenenza, ma un’esperienza. È compito dei leader religiosi, cioè, aiutare le proprie rispettive comunità a ritrovare gli elementi fondanti della propria fede, spesso inquinati da elementi ad essa estranea e accumulati lungo i secoli.

Sempre in questo contesto è necessario educare poco alla volta le proprie comunità, anche attraverso gesti forti, ad impegnarsi insieme per lo sviluppo della società contribuendo così ad abbattere pregiudizi e luoghi comuni. L’incontro di Papa Francesco con il Grande Iman di Al-Azhar ad Abou Dhabi nel febbraio 2019, dicevamo, è stato uno di questi gesti.

È altrettanto importante operare insieme per la revisione dei rispettivi testi di formazione religiosa, spesso ancora intrisi di un linguaggio ostile al dialogo e all’incontro con le altre fedi religiose.

b) Va inoltre ripensato il rapporto religione-politica. È essenziale farlo, per quanto sia difficile e faticoso, onde evitare che le diverse esperienze religiose vengano strumentalizzate. Pochi oggi credono che questo sia possibile, eppure si alzano sempre più spesso voci che vanno in tale direzione, anche nel mondo islamico. Il dialogo interreligioso, il confronto con le altre esperienze di fede è uno strumento essenziale per favorire questa lenta ma costante presa di coscienza.

c) Una riflessione sui concetti di identità personale e socio-culturale e di appartenenza culturale e religiosa: queste hanno oggi un’interpretazione complessa, plurima, dinamica. Non è più possibile cioè racchiudere l’appartenenza identitaria dentro i modelli culturali delle comunità religiose di qualche anno fa. I cristiani di lingua araba in Israele, ad esempio, sono combattuti tra l’appartenenza allo Stato d’Israele, che si definisce “stato ebraico”, la loro appartenenza all’identità palestinese e la loro fede cristiana. Quest’appartenenza è complessa e non si può semplificare. Discorso analogo per i cristiani di Egitto, Siria, Libano, Iraq, ecc. Il rapporto attuale tra identità e cittadinanza passa attraverso le appartenenze religiose. Ma questo oggi non basta più per rispondere alle mutate situazioni sociali esistenti.

Le varie manifestazioni che abbiamo visto in questi ultimi mesi un po’ in tutto il MO, vanno proprio in questa direzione: i giovani vogliono cambiare gli attuali modelli sociali dei loro rispettivi paesi, nei quali non si ritrovano più, ed è un peccato che le autorità religiose non sostengano abbastanza questa richiesta sempre più pressante.

d) Un approfondimento delle questioni riguardanti la dimensione universale della convivenza, che solleciti al lavoro per l’apertura, la pace, la nonviolenza, l’incontro collaborativo e costruttivo tra diversi. Il dialogo interreligioso non può esaurirsi nella (ri)lettura della propria storia e nel complesso rapporto che le rispettive religioni hanno avuto tra loro nel passato. Questo è stato fatto abbondantemente. Oggi è tempo soprattutto da parte dei leader religiosi di impegnarsi e favorire l’impegno nella comune responsabilità per la giustizia e per la pace, fortemente ferite in Medio Oriente da anni di guerre settarie e di tragedie vergognose. Il dialogo interreligioso che non tenga conto del comune impegno e della reciproca, concreta ed effettiva responsabilità verso la società alla quale tutti appartengono è destinato a rimanere lettera morta, riducendosi, dunque, ad incontri autoreferenziali, del tutto non necessari.

e) Una riconsiderazione dei principi di apertura e di interdipendenza, riguardanti non soltanto i soggetti, i valori, i popoli, gli Stati, ma anche l’approccio ai problemi del nostro tempo, che superano i confini degli Stati (si pensi all’uso dei media o dei social network). Sono soprattutto i giovani ad essere sempre più esposti alle istanze che la modernità ha portato nella vita sociale con la tecnologia, modificando il modello delle relazioni interpersonali e sociali, della morale, del concetto di famiglia. Il dialogo interreligioso, anche in MO, dovrà tenere presente che la cultura locale sarà sempre più influenzata da dinamiche e valori comuni al resto del mondo.

f) Un ripensamento delle categorie di storia, di memoria, di colpa, di giustizia, di perdono, che pongono a contatto direttamente la sfera religiosa con quella morale, sociale e politica della cittadinanza.

È un fattore determinante. Non si potranno superare gli ostacoli odierni, non si potrà davvero progettare un futuro sereno, se non si avrà il coraggio di purificare la propria lettura della storia dall’enorme bagaglio di dolore e di ingiustizie che ancora condizionano pesantemente il presente e le scelte che spesso oggi si compiono. Non si tratta di dimenticare, certamente. Ma sarà assai arduo costruire un futuro sereno se si pone alla base della propria identità sociale e nazionale “l’essere vittima”, anziché fondare le proprie prospettive su una comune speranza.

Questo, ovviamente, solleva la domanda: come ripensare la storia e la memoria, come è possibile parlare di perdono, finché il mio presente è segnato da ingiustizia e dolore? Qual è la relazione tra pace, giustizia e perdono?

È proprio su questo punto decisivo che il dialogo interreligioso in MO non può esimersi di confrontarsi, portando il suo insostituibile contributo al resto del mondo. È un confronto sempre più necessario e il solo che possa condurre le nostre rispettive comunità religiose e sociali fuori dall’impasse nel quale si trovano oggi.

Conclusione

In conclusione possiamo allora dire che in MO non si conosce “Fratelli Tutti”, ma ciò che vi è contenuto è pane quotidiano ed è vissuto in maniera intensa e spesso estrema: nei conflitti e nelle violenze settarie, nella politica dal breve respiro e nelle dittature politiche e religiose, nello sfruttamento dei poveri.

Ma esistono anche esperienze di luce, forse meno a livello istituzionale e più a livello popolare, ma altrettanto solide e persistenti. Non si sono mai viste, infatti, così tante associazioni, movimenti, organizzazioni di persone e gruppi, religiosi e no, che desiderano fare qualcosa insieme per la loro gente e che si mettono in gioco.

Paradossalmente, il fallimento della politica e la paralisi delle istituzioni religiose, ha favorito la nascita e lo sviluppo di forme alternative di impegno pubblico, civile, politico e religioso.

È il piccolo resto dal quale ripartire.