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Meditazione di S.B. Card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei latini: Solennità di Cristo Re dell’universo

Meditazione di S.B. Card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei latini: Solennità di Cristo Re dell’universo

Solennità di Cristo Re dell’universo

Mt 25, 31-46

 

Potremmo pensare al cammino del discepolo come un cammino per imparare a vedere.

Oggi, infatti, è una giornata che parla di compimento, di fine: si conclude un anno liturgico, ma si conclude anche la lettura del Vangelo di Matteo. All’interno di questo Vangelo, oggi leggiamo la conclusione del discorso escatologico, ma è anche la conclusione della parte del Vangelo di Matteo che precede il racconto della Passione.

E la parabola che ci propone oggi la Liturgia ci aiuta a vivere questo momento di svolta, perché è come un punto di arrivo, una sintesi; ed è anche un nuovo inizio.

Dicevamo che tutto il cammino del discepolo può essere inteso come un cammino per imparare a vedere.

In realtà, il cuore del racconto di oggi è segnato dallo stupore, per tutti, perché tutti riconoscono di non aver visto: quando mai ti abbiamo visto … (Mt 25,37.38.39.44)?

Nessuno dei due gruppi, quello dei salvati e quelli dei cosiddetti “dannati” ha visto Gesù. Chi ha servito i poveri, chi ha avuto misericordia, non l’ha fatto perché ha riconosciuto in essi il volto del Signore.

Nessuno dei due gruppi ha visto Gesù.

Ma un gruppo ha visto il fratello, e l’aver visto ha mosso in loro un appello etico, l’urgenza di dare sollievo, di aiutare il fratello a portare il peso della vita. Un’immagine, questa, che abbiamo incontrato qualche domenica fa (Mt 23,1-12), quando dicevamo che una vita spesa nel servizio è quella che cerca di togliere il peso del fratello, a differenza di quanto fanno scribi e farisei, che invece, anziché toglierli, aggiungono pesi alla vita della gente.

Anche in quel brano di Vangelo ritornava l’aspetto del vedere: scribi e farisei, infatti, legano pesanti fardelli, ma loro non li toccano neppure con un dito. E tutto quello che fanno lo fanno per fasi vedere.

Si fanno vedere, e non vedono, perché se lo sguardo è tutto rivolto su di sé, risulta difficile vedere l’altro, non ci si rende conto del peso che sta portando.

Allora il cammino del discepolo può essere questo: il passaggio dal guardarsi, dal farsi vedere, al vedere, al rendersi conto del dolore di chi incontriamo.

Un passaggio che nasce dall’ascolto: tutta la prima parte del Vangelo di Matteo ruotava intorno all’imparare ad ascoltare, perché solo chi ascolta, poi vede.

Il Vangelo di oggi, però, apre il nostro sguardo ad un nesso non semplice da capire, ovvero al legame che c’è tra il vedere il fratello e il vedere Cristo.

Nelle parole con cui il Figlio dell’uomo apre o chiude le porte del Regno al momento del giudizio finale, parlano di una identificazione: chi ha visto il fratello e l’ha sfamato, vestito, visitato…, in realtà, senza saperlo, ha sfamato, vestito, accudito… il Signore Gesù: l’avete fatto a me (Mt 25,45)

Cosa significa questo? Cosa significa che Dio è nel povero, nell’ammalato, nel carcerato…?

Potremmo dire così.

Che chi si apre a gesti di servizio gratuiti e disinteressati; chi ama l’altro non per obbedire ad un dovere religioso ma per obbedire all’appello che dal di dentro gli chiede di prendersi cura del proprio fratello in umanità, costui, senza saperlo, incontra il Signore. Perché quando accogliamo e amiamo chi non ha nulla per contraccambiare, allora il Signore si incarica di ricompensarci al suo posto, ritiene questo gesto come fatto a Lui. Quel piccolo gesto, non fatto per farsi vedere, non è passato inosservato agli occhi del Padre. Lui lo ha visto e se l’è caricato sulle spalle.

E siccome un gesto d’amore gratuito è un gesto immenso, la ricompensa è immensa, è eterna: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34).

Allora, abbiamo detto che ogni fine è anche un nuovo inizio.

Ripartiamo allora da qui, da questo desiderio di vedere ciò che in modo particolare in questo tempo non manca, ovvero tanti fratelli nel dolore. Sono loro la porta aperta attraverso cui vediamo il Signore Gesù che viene.

+Pierbattista