Cari fratelli e sorelle,
Eccellenze Reverendissime,
il Signore vi dia pace!
In questi giorni della settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani siamo tutti arricchiti da molte suggestioni proposte dalla Parola di Dio. Il tema generale “fai il bene, cerca la giustizia” (Is 1,17), è già un tema impegnativo, soprattutto in questa nostra Terra Santa. Ogni giorno, poi, il tema generale di quest’anno viene accompagnato da altri brani, che lo rendono più concreto: “chi è il mio prossimo” (Lc 10,25-36), oppure il brano del giovane ricco che vuole ereditare la vita eterna (Mc 10, 17-31), e molte altre forti suggestioni. Oggi, la settimana di preghiera ci invita a riflettere su un tema doloroso e difficile tratto dal brano delle Beatitudini che abbiamo appena ascoltato: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Matt. 5,4), che è messo in parallelo con Qoelet 4,1: “Tornai poi a considerare tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole. Ecco le lacrime degli oppressi e non c’è chi li consoli; dalla parte dei loro oppressori sta la violenza, ma non c’è chi li consoli”.
Siamo insomma oggi invitati a riflettere e mettere nell’orizzonte della nostra preghiera il tema della violenza, dell’ingiustizia che ogni violenza porta con sé, e soprattutto di come porsi di fronte al male che è davanti ai nostri occhi. Siamo invitati a chiederci dai brani proclamati se “le lacrime degli oppressi” (Qoel 4,1) non hanno chi li consoli come afferma Qoelet, oppure se esse saranno invece consolate, avranno una voce che se ne farà carico, come dice il Vangelo.
Sono temi che hanno una immediata connotazione politica, applicabili sia sul piano internazionale, sia ovviamente sul piano della nostra esperienza in Terra Santa, segnata da violenza e ingiustizie in svariati contesti. Ma non è solo la vita politica ad essere coinvolta in questo tema. Violenza, oppressione, dolore, ingiustizia si trovano prima di tutto nel nostro animo, nella vita di molte famiglie, nelle nostre stesse comunità e, più in generale, nelle relazioni umane, come anche nella nostra relazione con il creato.
Il Divisore, insomma, il Diavolo, non ha cessato la sua azione. Sappiamo che il mondo e l’uomo è stato redento con la Pasqua di Cristo, ma allo stesso tempo sappiamo che avremo sempre a che fare con la presenza del male in noi stessi e nel mondo, e con le sue conseguenze sulla nostra vita sia personale, sia civile e sociale. Divisioni e conflitti, dunque, faranno sempre parte della nostra quotidianità il grido di dolore si udirà sempre. Ma la voce di quel dolore si mischierà alla voce di quanti invece opereranno la giustizia, avranno la pace in sé e la costruiranno nei loro contesti di vita, sia religiosi che politici, con pazienza, costanza, incuranti di persecuzioni e solitudine, perché sono stati conquistati da Cristo, che sa donare una pace che è diversa da come la dà il mondo (cf. Gv 14,27).
È proprio del cristiano, dunque, di chi ha incontrato Cristo e ha fatto l’esperienza della salvezza, di non scandalizzarsi di fronte al male del mondo, di non lasciarsi turbare da esso ma, al contrario, impegnarsi per la giustizia, la libertà, la dignità, l’uguaglianza tra gli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio. È un impegno costitutivo della fede cristiana, è il modo cristiano di stare nel mondo, perché l’incontro con Cristo ci ha aperto gli occhi sulla vita di ogni uomo. Il cristiano soffre per il male del mondo, insomma, ma non se ne lascia sconvolgere.
Non possiamo comprendere questa prospettiva con i soli nostri criteri umani e se il nostro cuore non è aperto alla grande novità che Gesù porta, se - cioè- non siamo disposti a convertirci. Prima di pronunciare il discorso sulla montagna, Gesù ha percorso la Galilea, chiedendo la conversione (Mt 4,17), cioè di cambiare il modo di pensare.
È Gesù la nostra consolazione e solo in Lui troveremo a nostra volta la forza di “consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2 Cor. 1,4). Lui non ci rende esenti dal dolore che si prova di fronte alla violenza, all’oppressione, all’ingiustizia. Ma la Sua presenza in noi, nella Chiesa, non permetterà al male di trovare terreno fertile e di mettere radici. Il male, come dicevo, sarà sempre presente, ma non troverà casa nel cuore del credente, perché esso sarà già abitato dalla croce di Cristo.
Sarà un cammino mai lineare, perché la liberazione dal male e dalle sue conseguenze, avvenuta con la Pasqua di Cristo, avrà il suo pieno compimento solo nella Gerusalemme celeste, alla cui costruzione noi cristiani siamo chiamati a collaborare, operando la giustizia e soccorrendo l’oppresso (Is 1,17).
Non di rado mi chiedo, riflettendo e pregando, dove io mi colloco rispetto a tutto ciò. Sono con Qoelet, che vede l’oppressione ma non la consolazione, o sono con il Vangelo, che sa trovare la consolazione anche nel pianto? Sono chiuso nel mio dolore di fronte all’ingiustizia, magari con rabbia e risentimento, oppure collaboro da cristiano all’edificazione della Gerusalemme celeste?
Le Chiese di Terra Santa, nonostante i tanti conflitti che da generazioni tormentano questa Terra, sono molto attive nell’edificazione della Gerusalemme celeste: scuole, ospedali, case per anziani, per bambini, per disabili, e molto altro, sono parte costitutiva della nostra identità di comunità estroverse, non ripiegate su se stesse. Sono il nostro modo di fare il bene qui in Terra Santa e di operare la giustizia, di aprire gli occhi sul dolore e sull’oppressione. Riferendoci al testo del Qoelet ascoltato nella prima lettura, è questo il nostro modo di essere tra coloro che consolano. Non lo diciamo per vantarci, perché vediamo ogni giorno il limite e il peso delle nostre opere, ma per riconoscere una realtà.
La consolazione, tuttavia, non ha bisogno solo di gesti di accoglienza, ma anche di una parola.
Abbiamo il dovere di annunciare con la vita, ma anche con le parole, il Vangelo di giustizia e di pace. Ci troviamo per questo spesso a un bivio, quasi chiamati a scegliere tra la necessaria denuncia della violenza e del sopruso, sempre perpetrato a danno dei più deboli, e il rischio di ridurre la Chiesa ad “agente politico”, dimenticandone la vera natura ed esponendola a facili e superficiali strumentalizzazioni. Il nostro stare nel mondo non può limitarsi solamente al servizio della carità per i più poveri, ma è anche parresia, non può cioè esimersi dall’esprimere, nei modi propri della Chiesa, un giudizio sul mondo e sulle sue dinamiche (cf Gv 16, 8.11). Sappiamo bene come in Terra Santa la politica avvolga la vita ordinaria in tutti i suoi aspetti. Tutto diventa politica e ciò interroga seriamente tutte le nostre Chiese, coinvolte in un conflitto che logora la vita dei nostri fedeli, i quali attendono da noi una parola di speranza, di consolazione, ma anche di verità. Si impone qui un discernimento davvero difficile e mai raggiunto una volta per tutte. Non possiamo tacere di fronte alle ingiustizie. Prendere posizione, come spesso ci è chiesto, tuttavia, non può significare diventare parte di uno scontro, ma deve sempre tradursi in parole e azioni a favore di quanti soffrono e gemono. Il nostro parlare, insomma, non deve essere caratterizzato da rancore, rabbia o risentimento, ma deve avere la libertà e la pace che Cristo ci ha donato e non può avere che una sola prospettiva, il perdono e la riconciliazione. Per i Cristiani l’unica posizione possibile da assumere è quella di Cristo, a servizio della vita di tutti. La Chiesa ama e serve la polis e condivide con le Autorità civili la preoccupazione e l’azione per il bene comune, nell’interesse generale di tutti e specialmente dei poveri, alzando sempre la voce per difendere i diritti di Dio e dell’uomo, ma non entra in logiche di competizione e di divisione.
Non è questa la missione della sola Chiesa cattolica, o ortodossa, o protestante o di qualsiasi altra chiesa di Terra Santa. È la missione alla quale tutti siamo chiamati come comunità cristiana di Terra Santa, che ha “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. (Ef 4,5-6).
Lo Spirito Santo illumini tutti noi, apra i nostri occhi per riconoscere il dolore che è di fronte a noi, e apra il nostro cuore al perdono e alla riconciliazione, senza i quali non ci sarà mai la vera pace.